| PIO PP. XII LETTERA ENCICLICA MYSTICI  CORPORIS CHRISTI* AI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI  E ALTRI ORDINARI AVENTI PACE E COMUNIONE
 CON LA SEDE APOSTOLICA:
 DEL  CORPO MISTICO DI GESÙ CRISTO
 E DELLA NOSTRA  UNIONE IN ESSO CON CRISTO
 VENERABILI  FRATELLI
 SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
 Introduzione. La dottrina sul Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa (cfr.  Col. I, 24), dottrina attinta originariamente al labbro stesso del  Redentore e che pone nella vera luce il gran bene (mai abbastanza esaltato)  della nostra strettissima unione con sì eccelso Capo, è tale senza dubbio che,  per la sua eccellenza e dignità, invita tutti gli uomini che son mossi dal  divino Spirito a studiarla e, illuminandone la mente, fortemente li spinge a  quelle opere salutari che corrispondono ai suoi precetti. Reputiamo perciò  Nostro compito il trattenerCi con voi su questo argomento, svolgendo e  dichiarandone quei punti specialmente che riguardano la Chiesa militante. Al che  Ci muove non solo l’insigne grandezza di questa dottrina, ma anche lo stato  presente dell’umanità.Intendiamo infatti di parlare delle ricchezze riposte nel seno di quella  Chiesa che fu acquistata da Cristo con il proprio sangue (Act. XX, 28) e  le cui membra si gloriano di un Capo redimito di spine. Circostanza, questa, che  è una prova evidente di come le cose più gloriose ed esimie nascano soltanto dal  dolore; dobbiamo quindi godere per la nostra partecipazione alla passione di  Cristo, affinché possiamo poi rallegrarci ed esultare quando si manifesterà la  sua gloria (cfr. I Petr. IV, 13). Rileviamo sin dall’inizio che, come il  Redentore del genere umano ricevette persecuzioni, calunnie c tormenti da quei  medesimi la cui salvezza s’era addossata, così la società da lui costituita si  assomiglia anche in questo al suo divin Fondatore. Non neghiamo, è vero, che  anche in questa nostra età turbolenta non pochi, benché separati dal gregge di  Cristo, guardano alla Chiesa come all’unico porto di salvezza (e lo riconosciamo  con gratitudine verso Dio); ma sappiamo pure che la Chiesa di Dio è dispregiata  e con superba ostilità calunniata da coloro che, abbandonata la luce della  cristiana sapienza, ritornano miseramente alle dottrine, ai costumi, alle  istituzioni dell’antichità pagana; spesso anzi è ignorata, trascurata e tenuta  in fastidio da molti cristiani, o allettati da errori di finta bellezza, o  adescati dalle attrattive e depravazioni del mondo. Per dovere quindi di  coscienza, o Venerabili Fratelli, e per assecondare il desiderio di molti,  porremo sotto gli occhi di tutti ed esalteremo la bellezza, le lodi e la gloria  della Madre Chiesa alla quale, dopo Dio, tutto dobbiamo. C’è da sperare che questi Nostri precetti ed esortazioni, nelle presenti  circostanze, produrranno nei fedeli frutti molto abbondanti, poiché sappiamo che  tante sventure e dolori del nostro procelloso tempo dai quali sono acerbamente  tormentati innumerevoli uomini, se vengono accettati dalle mani di Dio con  serena rassegnazione, convertono per un certo impulso naturale gli animi dalle  cose terrene e instabili alle celesti ed eterne, suscitando in essi un’arcana  sete e un intenso desiderio delle realtà spirituali: stimolati così dal divino  Spirito, vengono eccitati e quasi sospinti a cercare con maggiore diligenza il  Regno di Dio. Infatti, a misura che gli uomini si distolgono dalle vanità di  questo mondo e dall’affetto disordinato delle cose presenti, si rendono più atti  a percepire la luce dei misteri soprannaturali. E forse oggi più chiaramente che  mai si vede la instabilità e inanità delle cose terrene, mentre i regni e le  nazioni vanno in rovina, ingenti beni e ricchezze d’ogni genere vengono sommersi  nelle profondità degli oceani, città, villaggi e fertili terre son coperti di  rovine e insanguinate di stragi fraterne.
 Confidiamo inoltre che neppure a coloro che sono fuori del grembo della  Chiesa cattolica saranno ingrate né inutili le verità che stiamo per esporre  intorno al Corpo mistico di Cristo. E ciò non solo perché la loro benevolenza  verso la Chiesa sembra aumentare di giorno in giorno, ma anche perché essi  stessi, mentre osservano le nazioni insorgere contro le nazioni, i regni  insorgere contro i regni, e crescere smisuratamente le discordie, le invidie e i  motivi di odio, se poi rivolgono gli occhi alla Chiesa e considerano la sua  unità d’origine divina (in virtù della quale tutti gli uomini d’ogni stirpe  vengono congiunti da fraterno vincolo con Cristo), allora certamente son  costretti ad ammirare questa grande famiglia fomentata dall’amore, e con  l’ispirazione e il soccorso della Grazia divina vengono attirati a partecipare  della stessa unità e carità. Vi è anche una ragione particolare, tanto cara e  dolce, per cui questo punto di dottrina si presenta con sommo diletto alla  Nostra mente. Durante il passato venticinquesimo anno del Nostro Episcopato, con  grandissimo compiacimento osservammo una cosa che fece luminosamente risplendere  in tutte le parti della terra l’immagine del Corpo mistico di Gesù Cristo:  mentre cioè una micidiale e diuturna guerra aveva miseramente infranto la  fraterna comunanza delle genti, dovunque Noi abbiamo dei figli in Cristo, tutti,  con una sola volontà ed affetto, hanno elevato il pensiero verso il Padre comune  che governa in così avversa tempesta la nave della Chiesa Cattolica, portando  nel cuore le sollecitudini e le ansietà di tutti. In questa circostanza notammo  non soltanto la mirabile unione della famiglia cristiana, ma anche questo fatto  innegabile: che come Noi stringiamo al Nostro cuore paterno i popoli di  qualsiasi nazione, così da ogni parte i cattolici, benché appartenenti a popoli  fra loro belligeranti, guardano al Vicario di Cristo come all’amantissimo Padre  di tutti, il quale, ispirato da assoluta imparzialità e da incorrotto giudizio  per ambo le parti ed elevandosi al di sopra delle procelle delle umane passioni,  prende con tutte le forze la difesa della verità, della giustizia, della  carità.
 Né Ci ha apportato minore consolazione l’aver appreso ch’è stata raccolta  spontaneamente e volonterosamente una somma per innalzare in Roma un sacro  tempio dedicato al Nostro santissimo Predecessore e Patrono onomastico, il Papa  Eugenio I. Pertanto, come questo tempio, da erigersi per volere ed elargizioni  di tutti i fedeli, farà perenne ricordo di questo faustissimo evento, così  desideriamo che questa Lettera Enciclica renda testimonianza del Nostro animo  grato; poiché in essa si tratta appunto di quelle vive pietre umane, le quali,  edificate sulla pietra angolare che è Cristo, vengono a formare quel sacro  tempio di gran lunga più eccelso d’ogni altro tempio costruito dalle mani,  l’abitazione cioè di Dio nello Spirito (cfr. Eph. II, 21-22; I  Petr. II, 5).
 La Nostra sollecitudine pastorale poi è il principale motivo che Ci fa  trattare con una certa ampiezza di questa eccelsa dottrina. Molti punti sono  stati messi in luce su questo argomento, né ignoriamo che parecchi si applicano  oggi con grande attività al suo studio, donde viene anche fomentata ed  alimentata la pietà cristiana. Il che sembra attribuirsi specialmente al fatto  che il rinato studio della sacra liturgia, l’uso invalso di accostarsi con  maggior frequenza alla Mensa eucaristica e il culto del Cuore sacratissimo di  Gesù, che godiamo di veder più diffuso, hanno indotto gli animi di molti ad una  più accurata indagine delle investigabili ricchezze di Cristo che si trovano  nella Chiesa. A collocare poi questo argomento nella sua luce, molto influirono  gli insegnamenti che in questi ultimi tempi furono pubblicati intorno all’Azione  Cattolica, i quali resero più stretti i vincoli dei cristiani tra loro e con la  Gerarchia ecclesiastica, particolarmente con il Romano Pontefice. Tuttavia, se a  buon diritto possiamo godere di quanto abbiamo accennato, pure non si deve  negare che circa questa dottrina non solo si spargono gravi errori da coloro che  sono separati dalla vera Chiesa, ma si diffondono anche tra i fedeli teorie  inesatte o addirittura false, che deviano le menti dal retto sentiero della  verità.
 Infatti, da una parte perdura il falso razionalismo il quale ritiene  completamente assurdo ciò che trascende le forze dell’ingegno umano, e gli  associa un altro errore affine (il cosiddetto naturalismo volgare), il quale non  vede né vuol riconoscere altro nella Chiesa di Cristo all’infuori dei vincoli  puramente giuridici e sociali; dall’altra parte si va introducendo un falso  misticismo il quale falsifica la Sacra Scrittura, sforzandosi di rimuovere gli  invariabili confini fra le cose create e il Creatore.
 Intanto questi falsi ritrovati, opposti tra loro, conducono a questo effetto:  alcuni, atterriti da un certo infondato timore, considerano una così elevata  dottrina come cosa pericolosa e perciò indietreggiano davanti ad essa, come dal  pomo del Paradiso, bello sì, ma proibito. Niente affatto: i misteri rivelati da  Dio non possono essere nocivi agli uomini, ne devono restare infruttuosi come un  tesoro nascosto nel campo; ma sono stati rivelati appunto pur il vantaggio  spirituale di chi piamente li medita. Infatti, come insegna il Concilio  vaticano, "quando la ragione, illuminata dalla fede, indaga con pia e sobria  diligenza, può raggiungere, concedendolo Iddio, sufficiente ed utilissima  intelligenza dei misteri: sia per analogia con ciò che conosce naturalmente, sia  per il nesso dei misteri stessi tra di loro e con il fine ultimo dell’uomo";  quantunque l’umana ragione, come lo stesso sacro Sinodo ammonisce, "non si rende  mai atta a penetrarli con la stessa chiarezza di quelle verità che costituiscono  il suo naturale oggetto" (Sessio III, Const. de Fide Catholica, c.  4).
 Avendo pertanto maturamente considerato queste cose al cospetto di Dio:  affinché la bellezza della Chiesa rifulga di nuova gloria, affinché la  conoscenza della singolare e soprannaturale nobiltà dei fedeli congiunti nel  Corpo di Cristo col proprio Capo, si diffonda, e inoltre affinché sia precluso  l’adito ai molteplici errori su questo argomento, abbiamo creduto Nostro dovere  pastorale esporre a tutto il popolo cristiano, con questa Lettera Enciclica, la  dottrina del Corpo mistico di Cristo e della unione dei fedeli con il divino  Redentore nello stesso Corpo, ricavando al tempo stesso dalla medesima dottrina  alcuni ammaestramenti, per cui una più alta investigazione di questo mistero  produca frutti sempre più abbondanti di perfezione.
 
 PARTE PRIMA  LA CHIESA È IL CORPO MISTICO DI  CRISTOConsiderando l’origine di questa dottrina Ci sovvengono sin dall’inizio le  parole dell’Apostolo: "Dove abbondò il peccato, sovrabbondo la grazia"  (Rom. V, 20). Risulta infatti che il padre di tutto il genere umano fu  costituito da Dio in sì eccelsa condizione da tramandare ai posteri, insieme con  la vita terrena, anche quella superna della grazia celeste. Sennonché, dopo la  misera caduta di Adamo, tutta la stirpe umana, infetta dalla macchia ereditaria  del peccato, perdette la partecipazione alla natura di Dio (cfr. II Petr.  1, 4), e tutti diventammo figli dell’ira divina (Eph. II, 5). Ma il  misericordiosissimo Iddio "amò talmente il mondo, da dare il Suo unigenito  Figlio" (Jo. III, 16), e il Verbo dell’eterno Padre con identico divino  amore si assunse dalla progenie di Adamo l’umana natura, innocente però e senza  macchia di colpa, affinché dal nuovo Adamo celeste scorresse la grazia dello  Spirito Santo in tutti i figli del progenitore. I quali, dopo essere stati  privati della figliolanza adottiva di Dio a causa del primo peccato, diventati  per l’incarnazione del Verbo fratelli secondo la carne del Figlio unigenito di  Dio, hanno ricevuto anch’essi il potere di essere figli di Dio (cfr. Jo.  7, 12). E così Gesù pendente dalla Croce non solo risarcì la violata giustizia  dell’eterno Padre, ma meritò per noi suoi consanguinei un’ineffabile abbondanza  di grazie. Egli avrebbe potuto elargirla da sé a tutto il genere umano; ma volle  farlo per mezzo di una Chiesa visibile, nella quale gli uomini si riunissero  allo scopo di cooperare tutti con Lui e per mezzo di essa a comunicare  vicendevolmente i divini frutti della Redenzione. Come infatti il Verbo di Dio,  per redimere gli uomini con i suoi dolori e tormenti, volle servirsi della  nostra natura, quasi allo stesso modo, nel decorso dei secoli, si serve della  Sua Chiesa per continuare perennemente l’opera incominciata (cfr. Conc. Vat.,  Const. de Eccl., prol.). Pertanto, a definire e descrivere questa verace Chiesa di Cristo (che e la  Chiesa Santa, Cattolica, Apostolica Romana) (cfr. ibidem, Const. de Fide  cath., cap. l), nulla si trova di più nobile, di più grande, di più divino  che quella espressione con la quale essa vien chiamata "il Corpo mistico di Gesù  Cristo"; espressione che scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene  frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri.
 
 LA CHIESA È UN «CORPO»  Che la Chiesa sia un corpo, lo bandiscono spesso i Sacri Testi. "Cristo —  dice l’Apostolo — è il Capo del Corpo della Chiesa" (Col. I, 18) orbene,  se la Chiesa è un corpo, è necessario che esso sia uno ed indiviso, conforme al  detto di Paolo: "Molti siamo un solo corpo in Cristo" (Rom. XII, 5). Né  dev’essere soltanto uno e indiviso, ma anche concreto e percepibile, come  afferma il Nostro Antecessore Leone XIII di f. m. nella sua Lettera Enciclica  "Satis cognitum": "Per il fatto stesso che è corpo, la Chiesa si discerne  con gli occhi" (cfr. A. S. S., XXVIII, pag. 170). Perciò si allontanano dalla  verità divina coloro che si immaginano la Chiesa come se non potesse né  raggiungersi ne vedersi, quasi che fosse una cosa "pneumatica" (come dicono) per  la quale molte comunità di Cristiani, sebbene vicendevolmente separate per fede,  tuttavia sarebbero congiunte tra loro da un vincolo invisibile.unico, indiviso, visibile
 Ma il corpo richiede anche moltitudine di membri, i quali siano talmente tra  loro connessi da aiutarsi a vicenda. E come nel nostro mortale organismo, quando  un membro soffre, gli altri si risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto,  così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche  aiuto agli altri, offrendosi scambievolmente collaborazione, sia per mutuo  conforto sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il Corpo.
 
 composto «organicamente» e  «gerarchicamente»Inoltre, come nella natura delle cose il corpo non è costituito da una  qualsiasi congerie di membra, ma deve essere fornito di organi, ossia di membra  che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così  la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una  retta disposizione e coerente unione di membra fra loro diverse. Né altrimenti  l’Apostolo descrive la Chiesa, quando dice: "Come in un sol corpo abbiamo molte  membra, e non tutte le membra hanno la stessa azione, così siamo molti un sol  corpo in Cristo, e membra gli uni degli altri" (Rom. XII, 4). Non bisogna però credere che questa organica struttura della Chiesa sia  costituita dai soli gradi della Gerarchia e, ad essi limitata, consti unicamente  di persone carismatiche (benché cristiani forniti di doni prodigiosi non  mancheranno mai alla Chiesa). Bisogna, sì, ritenere in ogni modo che quanti  usufruiscono della Sacra Potestà, sono in un tal Corpo membri primari e  principali, poiché per loro mezzo, in virtù del mandato stesso del Redentore i  doni di dottore, di re, di sacerdote, diventano perenni. Ma giustamente i Padri  della Chiesa, quando lodano i ministeri, i gradi, le professioni, gli stati, gli  ordini, gli uffici di questo Corpo, hanno presenti sia coloro che furono  iniziati ai sacri Ordini, sia coloro che, abbracciati i consigli evangelici,  conducono o una vita operosa tra gli uomini o una vita nascosta nel silenzio o  una vita che l’una e l’altra congiunge secondo il proprio istituto; sia coloro  che nel secolo si dedicano con volontà fattiva alle opere di misericordia per  venire in aiuto alle anime e ai corpi; e infine coloro che son congiunti in  casto matrimonio. Anzi, specialmente nelle attuali condizioni, i padri e le  madri di famiglia, i padrini e le madrine di Battesimo, e in particolare quei  laici che collaborano con la Gerarchia ecclesiastica nel dilatare il regno del  divin Redentore, tengono nella società cristiana un posto d’onore, per quanto  spesso nascosto, e anch’essi, ispirati ed aiutati da Dio, possono ascendere al  vertice della più alta santità, la quale, secondo le promesse di Gesù Cristo,  non mancherà mai nella Chiesa.
 
 dotato di mezzi vitali di santificazione Come poi vediamo il corpo umano adorno di mezzi propri con cui provvedere  alla vita, alla sanità e all’incremento dei suoi singoli membri, così il  Salvatore del genere umano, per sua infinita bontà, provvide in modo mirabile il  suo Corpo mistico di Sacramenti, con i quali le membra, quasi attraverso gradi  non interrotti di grazie, fossero sostentate dalla culla all’estremo anelito e  si sovvenisse con ogni abbondanza alle necessità sociali di tutto il Corpo.  Giacché, per il lavacro dell’acqua battesimale, coloro che sono nati a questa  vita mortale non solo rinascono dalla morte del peccato e divengono membra della  Chiesa, ma sono altresì insigniti di un carattere spirituale, e sono resi capaci  di ricevere gli altri Sacramenti. Con il crisma della Confermazione, viene  infusa nei credenti una nuova forza, per difendere la Madre Chiesa e custodire  quella Fede che da lei ricevettero. Con il Sacramento della penitenza, si offre  una salutare medicina ai membri della Chiesa caduti in peccato, non soltanto per  provvedere alla loro salute, ma anche por rimuovere il pericolo di contagio  degli altri membri del corpo mistico, ai quali si offrirà anzi un esempio  incitante a virtù. Non basta: poiché con la Sacra Eucaristia i fedeli vengono  nutriti e corroborati ad uno stesso convito e vengono uniti da un vincolo  ineffabile divino fra di loro e col Capo di tutto il Corpo. Infine, agli uomini  che si trovano nel languore della morte, la pia Madre Chiesa viene daccanto, e  con la sacra Unzione degli infermi, se non sempre, perché così il Signore  dispone, ridona al corpo la sanità, offre tuttavia una suprema medicina  all’animo ferito, trasmettendo al cielo nuovi cittadini e procurando alla terra  nuovi protettori, che per tutti i secoli godranno della divina bontà.ossia di  Sacramenti
 Alle necessità sociali della Chiesa, Cristo provvide in modo particolare con  l’istituzione di altri due Sacramenti. Con il Matrimonio infatti, in cui i  coniugi sono a vicenda ministri della grazia, si provvede ordinatamente  all’accrescimento esterno del consorzio cristiano; e ciò che più importa, alla  retta e religiosa educazione della prole, senza la quale un tal Corpo mistico  andrebbe incontro a gravissimi pericoli. Con il sacro Ordine poi si consacrano  per sempre al servizio di Dio coloro che son destinati a offrire l’Ostia  eucaristica, a nutrire il gregge dei fedeli col Pane degli angeli e col pascolo  della dottrina, a dirigerli con i precetti e i consigli divini, e a confermarlo  nella fede con altri uffici superni.
 A questo proposito, si deve aver presente che siccome Dio fin dall’inizio dei  tempi formò l’uomo con un corpo fornito dei mezzi necessari a sottomettere le  cose create, affinché moltiplicandosi, riempisse la terra, così fin dall’inizio  dell’età cristiana provvide la Chiesa dei mezzi opportuni affinché superati  innumerevoli pericoli riempisse non solo tutto l’orbe terrestre, ma anche i  regni celesti.
 
 formato da membri determinatiIn realtà, tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli  che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e professando la vera Fede, né  da se stessi disgraziatamente si separarono dalla compagine di questo Corpo, né  per gravissime colpe commesse ne furono separati dalla legittima autorità.  "Poiché — dice l’Apostolo — in un solo spirito tutti noi siamo stati battezzati  per essere un solo corpo, o giudei o gentili, o servi, o liberi" (I Cor.  XII, 13). Come dunque nel vero ceto dei fedeli si ha un sol Corpo, un solo  Spirito, un solo Signore e un solo Battesimo, così non si può avere che una sola  Fede (cfr. Eph. IV, 5), sicché chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa,  deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come etnico e pubblicano (cfr.  Matth. XVIII, 17). Perciò quelli che son tra loro divisi per ragioni di  fede o di governo, non possono vivere nell’unita di tale Corpo e per conseguenza  neppure nel suo divino Spirito. 
 senza esclusione dei peccatoriNeppure deve ritenersi che il Corpo della Chiesa, appunto perché e fregiato  del nome di Cristo, anche nel tempo del terreno pellegrinaggio sia composto  soltanto di membri che si distinguono nella santità, o di coloro che son  predestinati da Dio alla felicità eterna. Infatti si deve attribuire  all’infinita misericordia del nostro Salvatore che non neghi ora un posto nel  suo mistico Corpo a coloro cui una volta non negò un posto nel convito (cfr.  Matth. IX, 11; Marc. 11, 16; Luc. XV, 2). Poiché non ogni  delitto commesso, per quanto grave (come lo scisma, l’eresia, l’apostasia) è  tale che di sua natura separi l’uomo dal Corpo della Chiesa. Né si estingue ogni  vita in coloro che, pur avendo perduto con il peccato la carità e la grazia  divina sì da non essere più capaci del premio soprannaturale, conservano  tuttavia la Fede e la speranza cristiana, e, illuminati da luce celeste, da  interni consigli e impulsi dello Spirito Santo, sono spinti a concepire un  salutare timore e vengono eccitati a pregare e a pentirsi dei propri  peccati. Aborriscano quindi tutti il peccato, con il qua le vengono macchiate le  mistiche membra del Redentore; ma chi dopo aver miseramente mancato, non si  rende con la propria ostinatezza indegno della comunione dei fedeli, sia  ricevuto con sommo amore, e in lui si ravvisi con carità fattiva un membro  infermo di Gesù Cristo. È infatti preferibile, come avverte il Vescovo d’Ippona,  "essere risanati nella compagine della Chiesa, anziché esser tagliati dal suo  corpo a guisa di membra inguaribili" (August. Epist., CLVII, 3, 22;  Migne, P. L., XXIII, 686). "Finché una parte aderisce al corpo, la sua  guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né  guarirsi" (August. Serm., CXXXVII, 1; Migne, P. L., XXXVIII,  754).
 
 LA CHIESA È IL CORPO «DI  CRISTO»Fin qui, Venerabili Fratelli, abbiamo visto con particolareggiata trattazione  come la Chiesa è talmente costituita da potersi paragonare ad un corpo; rimane  ora da esporre chiaramente ed accuratamente per quali motivi essa deve essere  dichiarata non un corpo qualsiasi, ma il Corpo di Gesù Cristo. Questo si deduce  dall’essere Nostro Signore il Fondatore, il Capo, il Sostentatore e il  Conservatore di questo mistico Corpo. 
 Cristo fu il «Fondatore» di  questo CorpoCominciando a esporre brevemente in che modo Cristo fondò il suo Corpo  sociale, Ci sovviene questa sentenza del Nostro Predecessore Leone XIII di f.  m.: "La Chiesa, che già concepita, era nata dallo stesso costato del secondo  Adamo dormente in Croce, si presentò per la prima volta agli uomini in maniera  luminosa quel giorno solennissimo della Pentecoste" (Enc. "Divinum  illud").Infatti il divin Redentore iniziò la costruzione del mistico tempio  della Chiesa, quando predicando espose i suoi precetti; lo ultimò, quando  crocefisso, fu glorificato; lo manifestò e promulgò, quando mandò in modo  visibile lo Spirito Paraclito sui discepoli. 
 a)Predicando il VangeloMentre infatti sosteneva l’ufficio di predicatore, eleggeva gli Apostoli e li  mandava come Egli stesso era stato mandato dal Padre (Jo. XVII, 18), cioè  come dottori, rettori, creatori della santità nel ceto dei credenti, indicava il  loro Principe e suo Vicario in terra (cfr. Matth. XVI, 18-19);  manifestava loro tutte quelle cose che aveva ascoltato dal Padre (Jo. XV,  15, coll. XVII, 8 et 14); designava anche il Battesimo (cfr. Jo. III, 5),  con il quale coloro che avrebbero creduto sarebbero stati inseriti nel Corpo  della Chiesa; e finalmente, giunto al termine della vita, istituiva durante  l’ultima cena il mirabile sacrificio e mirabile sacramento dell’Eucaristia. 
 b)Soffrendo sulla croceChe poi egli avesse completato la Sua opera sul patibolo della Croce, lo  attesta una serie ininterrotta di testimonianze dei Santi Padri, i quali  osservano che la Chiesa nacque sulla Croce dal fianco del Salvatore a guisa di  una nuova Eva, madre di tutti i viventi (cfr. Gen. III, 20). Dice il  grande Ambrogio trattando del costato trafitto di Cristo: "Ed ora è edificato,  ed ora è formato, ed ora... è figurato, ed ora è creato... Ora la casa  spirituale si erge in sacerdozio santo" (Ambros. In Luc., 11, 87; Migne,  P. L., XV, 1585). Chi religiosamente approfondirà questa veneranda dottrina,  senza difficoltà potrà vedere le ragioni sulle quali essa si fonda. Anzitutto, con la morte del Redentore, successe il Nuovo Testamento alla  Vecchia Legge; allora la Legge di Cristo, insieme con i suoi misteri, leggi,  istituzioni e sacri riti, fu sancita per tutto il mondo nel sangue di Gesù  Cristo. Infatti, mentre il divin Salvatore predicava in un piccolo territorio,  non essendo stato inviato se non alle pecorelle della casa d’Israele ch’erano  perite (cfr. Matth. XV, 24), avevano contemporaneamente valore la Legge e  il Vangelo (cfr. S. Thom., I-II, q. 103, a. 3 ad 2); sul patibolo della Sua  morte poi Gesù pose fine alla Legge (cfr. Eph. II, 15) e con i suoi  decreti, affisse alla Croce il chirografo del Vecchio Testamento (cfr.  Col. II, 14), costituendo nel sangue, sparso per tutto il genere umano,  il Nuovo Testamento (cfr. Matth. XXVI, 28; I Cor. XI, 25). "Allora  — dice San Leone Magno, parlando della Croce del Signore — avvenne un passaggio  così evidente dalla Legge al Vangelo, dalla Sinagoga alla Chiesa, dalla  molteplicità dei sacrifizi ad una sola ostia, che, quando il Signore rese lo  spirito, quel mistico velo che con la sua interposizione nascondeva i penetrali  del tempio e il santo segreto, si scisse con improvvisa violenza da capo a  fondo" (Leo M., Serm., LXVIII, 3; Migne, P. L., LIV, 374).
 Nella Croce dunque la Vecchia Legge morì, in modo da dover tra breve esser  seppellita e divenir mortifera (cfr. Hier. et August. Epist., CXII, 14 et CXVI,  16; Migne, P. L.,XXII, 924 et 943; S. Thom. I-II, p. 103, a. 3 ad 2; ad. 4 ad 1;  Concil. Flor., pro Jacob.: Mansi, XXX.7, 1738), per cedere il posto al Nuovo  Testamento, di cui Cristo aveva eletto gli Apostoli come idonei ministri (cfr.  II Cor. III, 6): e il nostro Salvatore, pur essendo stato già costituito  Capo universale dell’umana famiglia fin dal seno della Vergine, esercita  pienissimamente nella sua Chiesa l’ufficio di Capo appunto per la virtù della  Croce. "Infatti — secondo la sentenza dell’angelico e comune Dottore — Egli  meritò la potestà e il dominio sopra le genti per la vittoria della Croce" (cfr.  S. Thom. III, q. 42, a. 1); per la medesima, aumentò immensamente per noi quel  tesoro di grazia che ora, regnando nel cielo, elargisce senza alcuna  interruzione alle Sue membra mortali; per il Sangue sparso sulla Croce fece sì  che, rimosso l’ostacolo dell’ira divina, potessero scorrere dalle fonti del  Salvatore per la salvezza degli uomini, e specialmente per i fedeli, tutti i  doni celesti, soprattutto quelli spirituali, del Nuovo ed eterno Testamento;  sull’albero della Croce finalmente si conquistò la Chiesa, cioè tutte le membra  del suo mistico Corpo, poiché non si sarebbero unite a questo mistico Corpo col  lavacro del Battesimo, se non per la virtù salutifera della Croce, nella quale  già sarebbero appartenute alla pienissima giurisdizione di Cristo.
 Che se con la Sua morte il nostro Salvatore, secondo il pieno ed integrale  significato della parola, è diventato Capo della Chiesa, non altrimenti la  Chiesa, per il Suo Sangue, si è arricchita di quella abbondantissima  comunicazione dello Spirito, con la quale, in seguito all’elevazione e  glorificazione del Figlio dell’uomo sul Suo patibolo del dolore, viene essa  stessa divinamente illustrata. Allora infatti, come avverte Agostino (cfr. De  pecc. orig., XXV, 29; Migne, P. L., XLIV, 400), squarciatosi il velo del  tempio, avvenne che la rugiada dei carismi del Paraclito (discesa fino allora  soltanto sul vello di Gedeone, cioè sul popolo d’Israele), essicato ed  abbandonato il vello, irrigasse tutta la terra, cioè la Chiesa Cattolica, la  quale non sarebbe circoscritta da nessun termine di stirpe o di territorio. Come  dunque, nel primo momento della incarnazione. il Figlio dell’Eterno Padre ornò  con la pienezza dello Spirito Santo la natura umana che s’era sostanzialmente  unita affinché fosse un adatto strumento della divinità nell’opera cruenta della  Redenzione, così nell’ora della Sua morte preziosa volle la Sua Chiesa  arricchita dei più abbondanti doni del Paraclito, affinché, nella distribuzione  dei divini frutti della Redenzione, divenisse valido e perenne strumento del  Verbo incarnato. Infatti, sia la missione giuridica della Chiesa, sia la potestà  d’insegnare, di governare e di amministrare i Sacramenti, in tanto hanno forza e  vigore soprannaturale per edificare il Corpo di Cristo, in quanto Gesù Cristo  pendente dalla Croce aprì alla Sua Chiesa la fonte di quei doni divini, grazie  ai quali essa non avrebbe mai potuto errare nell’insegnare agli uomini la sua  dottrina, li avrebbe guidati salutarmente per mezzo di Pastori illuminati da Dio  e li avrebbe colmati in abbondanza di grazie celesti.
 Se poi consideriamo attentamente tutti questi misteri della Croce, non ci  sono più oscure le parole con le quali l’Apostolo insegna agli Efesini che  Cristo con il Suo Sangue fuse insieme i giudei e i gentili "annullando... nella  Sua carne... la parete intermedia" con la quale i due popoli eran divisi; e che  abolì l’Antica Legge "per formare in se stesso di due un solo uomo nuovo", cioè  la Chiesa, ed entrambi li riconciliasse a Dio in un Corpo per mezzo della Croce  (cfr. Eph. II,14-16).
 
 c) Promulgando la Chiesa nel giorno della PentecosteE quella Chiesa che fondò col suo sangue, la fortificò nel giorno della  Pentecoste con una peculiare virtù scesa dall’alto. Era asceso al cielo, dopo  aver solennemente costituito nel suo ufficio colui che già aveva designato quale  Suo Vicario: e sedendo alla destra del Padre, volle manifestare e promulgare la  Sua Sposa, nella discesa visibile dello Spirito Santo, con il rumore di un vento  veemente e con lingue di fuoco (cfr. Act. II,1-4). Infatti, come Egli  stesso, nell’iniziare la Sua missione apostolica, fu manifestato dal Padre Suo  per mezzo dello Spirito Santo che discese e rimase su di Lui in forma di colomba  (cfr. Luc. 111, 22; Marc. 1, l0) così ugualmente quando gli  Apostoli stanno per iniziare il sacro ministero della predicazione, Cristo  Signore mandò dal cielo il Suo Spirito, il quale, toccandoli con lingue di  fuoco, indicasse loro come un dito divino, la missione e il compito  soprannaturale della Chiesa. 
 Cristo è il «Capo» del  CorpoIn secondo luogo, che il Corpo mistico della Chiesa si fregi del nome di  Cristo, lo si rivendica dal fatto che in realtà egli da tutti debba essere per  speciali ragioni ritenuto Capo della medesima. "Egli stesso — dice l’Apostolo —  è il Capo del Corpo della Chiesa" (Col. I, 18). Egli è il Capo dal quale  tutto il Corpo, convenientemente organizzato, cresce ed aumenta nella propria  edificazione (cfr. Eph. IV, 16 coll.; Col. II, 19). Sapete certamente, Venerabili Fratelli, con quali belli e luminosi pensieri  abbiano trattato questo argomento i Maestri della teologia scolastica, e  specialmente l’angelico e comune Dottore; vi è senza dubbio noto che gli  argomenti da lui apportati corrispondono fedelmente al principi dei Santi, i  quali d’altronde non riportavano altro nei loro commenti e dissertazioni, se non  il divino linguaggio della Scrittura.
 
 a) Per motivo di eccellenzaCi piace quindi trattarne brevemente per comune profitto. E dapprima, è  evidente che il Figlio di Dio e della Beata Vergine deve chiamarsi Capo della  Chiesa per uno specialissimo motivo di preminenza. Chi infatti è posto in luogo  più alto di Cristo Dio, il quale, essendo Verbo dell’Eterno Padre, deve  ritenersi "primogenito di ogni creatura"? (Col. 1, 15). Chi mai e situato  in un vertice più alto di Cristo Dio, il quale, nato da una Vergine senza  macchia, è vero e naturale Figlio di Dio e, per la prodigiosa e gloriosa  resurrezione, è il "primogenito dei morti" (Col. I, 18; Apoc. I,  5), avendo trionfato della morte? Chi mai infine e stato collocato in sommità  più eccelsa di colui che, come "unico mediatore di Dio e degli uomini", (I  Tim. II, 5), congiunge in modo davvero ammirevole la terra col cielo;  che, esaltato sulla Croce come su di un soglio di misericordia, attirò a Sé  tutte le cose (cfr. Jo. XII, 32); e che, eletto a figlio dell’uomo tra miriadi,  e amato da Dio più di tutti gli uomini, di tutti gli angeli, di tutte le cose  create? (cfr. Cyr. Alex. Comm. in Joh.: Migne, P. G., LXXIII, 69; S.  Thom. I, q 20, a. 4 ad 1). 
  b) Per motivo di governoPoiché Cristo occupa un posto tanto sublime, a buon diritto Egli solo regge e  governa la Chiesa; e perciò anche per questo motivo deve essere assomigliato al  capo. E infatti, come il capo (per servirCi delle parole di Ambrogio) è il  "regale baluardo" del corpo (Hexæm., VI, 55; Migne, P. L., XIV, 265), e da esso,  perché fornito delle doti migliori, vengono naturalmente dirette tutte le  membra, alle quali è sovrapposto appunto affinché abbia cura di loro (cfr.  August. De Agon. Christ., XX, 22, Migne P. L., XL, 301); così il divin  Redentore tiene il supremo governo del Cristianesimo. E poiché il reggere una  società di uomini non vuol dire altro che dirigerli al loro fine con  provvidenza, con mezzi adeguati e con retti principi (cfr. S. Thom., I, q. 22,  a. 14), è facile discernere come il nostro Salvatore, che si presenta come forma  ed esemplare dei buoni Pastori (cfr. Jo. X, 1-13; I Petr. V, 1-5),  eserciti in maniera davvero mirabile tutte queste funzioni. Egli, infatti, mentre dimorava sulla terra, con leggi, consigli, ammonimenti,  c’insegnò quella dottrina che mai non tramonterà e che sarà per gli uomini  d’ogni tempo spirito e vita (cfr. Jo. VI, 63). Inoltre partecipò agli  Apostoli e ai loro successori una triplice potestà: di insegnare, di governare e  di condurre gli uomini alla santità, costituendo tale potestà, ben definita da  precetti, diritti e doveri, come legge primaria della Chiesa universale.
 
 arcano e straordinarioMa il nostro divin Salvatore dirige e governa anche direttamente da Sé la  società da Lui fondata. Egli infatti regna nelle menti degli uomini, e al suo  volere piega e costringe anche le volontà ribelli. "Il cuore del re è in mano a  Dio, ed Egli lo piega a tutto ciò che vuole" (Prov. XXI, 1). E con questo  governo interno Egli "pastore e vescovo delle anime nostre" (cfr. I Petr.  11, 25), non soltanto ha cura dei singoli, ma provvede anche alla Chiesa  universale, sia quando illumina e corrobora i suoi governanti a sostenere  fedelmente e fruttuosamente le mansioni proprie di ciascuno; sia quando  (specialmente nelle circostanze più difficili) suscita dal grembo della Madre  Chiesa uomini e donne che, spiccando col fulgore della santità, siano di esempio  agli altri cristiani e di incremento al suo Corpo mistico. Inoltre, dal cielo  Cristo guarda con amore peculiare alla sua Sposa intemerata, che s’affatica in  questa terra d’esilio; e quando la vede in pericolo, la salva dai flutti della  tempesta o per sé direttamente, o per mezzo dei suoi angeli (cfr. Act.  VIII, 26; IX, 1-19; X, 1-7; XII, 3-10), o per opera di Colei che invochiamo  Aiuto dei Cristiani ed anche degli altri celesti protettori; e, una volta  sedatosi il mare, la colma di quella pace "che supera ogni senso" (Phil.  IV, 7). 
 in modo visibile e ordinario attraverso il Romano Pontefice  Non bisogna tuttavia credere che il Suo governo venga assolto soltanto in  maniera invisibile (cfr. Leone XIII, Lettera Enciclica "Satis cognitum")  e straordinaria; mentre al contrario il divin Redentore governa il suo Corpo  mistico anche in modo visibile e ordinario mediante il suo Vicario in terra.  Sapete infatti, Venerabili Fratelli, come Cristo Dio, dopo aver governato in  persona il "piccolo gregge"(Luc. XII, 32) durante il suo viaggio mortale,  dovendo poi lasciare presto il mondo e ritornare al Padre, affidò al Principe  degli Apostoli il governo visibile di tutta la società da Lui fondata . Da  sapientissimo quale Egli era, non poteva mai lasciare senza un capo visibile il  Corpo sociale della Chiesa che aveva fondata. Né ad intaccare una tale verità si  può asserire che, per un primato di giurisdizione costituito nella Chiesa, un  tale Corpo mistico sia stato provveduto di un duplice capo. Pietro infatti, in  forza del primato, non è altro che un Vicario di Cristo: e in tal guisa si ha di  questo Corpo un solo capo principale, cioè Cristo, il quale, pur continuando a  governare arcanamente la Chiesa direttamente da Sé, visibilmente però, la dirige  attraverso colui che rappresenta la Sua persona, poiché, dopo la Sua gloriosa  ascensione in cielo, non la lasciò edificata soltanto in Sé, ma anche in Pietro,  quale fondamento visibile. Che Cristo e il Suo Vicario costituiscano un solo  Capo, lo spiegò solennemente il Nostro Predecessore Bonifazio VIII d’immortale  memoria con la sua Lettera Apostolica "Unam Sanctam" (cfr. Corp. Jur.  Can., Extr. comm. I, 8, 1), e la medesima dottrina non cessarono mai di ribadire  i suoi Successori. Si trovano quindi in un pericoloso errore quelli che ritengono di poter  aderire a Cristo, Capo della Chiesa, pur non aderendo fedelmente al suo Vicario  in terra. Sottratto infatti questo visibile Capo e spezzati i visibili vincoli  dell’unità, essi oscurano e deformano talmente il Corpo mistico del Redentore,  da non potersi più ne vedere né rinvenire il porto della salute eterna.
 
 nelle singole Chiese attraverso i VescoviCiò che qui abbiamo detto della Chiesa universale deve asserirsi anche delle  comunità particolari dei cristiani, sia orientali, sia latine, le quali  costituiscono una sola Chiesa cattolica. Poiché anch’esse sono governate da Gesù  Cristo con la voce e l’autorità del Vescovo di ciascuna. Perciò i Vescovi non  soltanto devono esser tenuti quali membra più eminenti della Chiesa universale,  perché sono uniti al divin Capo di tutto il Corpo con un vincolo veramente  singolare (onde con diritto son chiamati "le principali parti delle Membra del  Signore" (Greg. Magn., Moral., XIV, 35, 43; Migne P. L., LXXV, 1062), ma anche  in quanto riguarda la propria Diocesi, son veri pastori che guidano e reggono in  nome di Cristo il gregge assegnato a ciascuno (cfr. Conc. Vat., Const. de  Eccl., cap. 3). Ma mentre fanno ciò, non son del tutto indipendenti, perché  sono sottoposti alla debita autorità del Romano Pontefice, pur fruendo  dell’ordinaria potestà di giurisdizione comunicata loro direttamente dallo  stesso Sommo Pontefice. Perciò essi, come successori degli Apostoli per divina  istituzione (cfr. Cod. Jur. Can., can. 329,1), devono essere  venerati dal popolo; e ai Vescovi, ornati del carisma dello Spirito Santo, più  che ai governanti anche più elevati di questo mondo, si addice il detto: "Non  toccate i miei unti" (I Paral. XVI, 22; Psal. CIV, 1.5). Sicché Ci addolora sommamente, quando Ci viene riferito che non pochi Nostri  Fratelli nell’Episcopato, sol perché son veri modelli del gregge e custodiscono  (cfr. I Petr. V, 3), con strenua fedeltà il sacro "deposito della fede"  (cfr. I Tim. VI, 20) loro affidato, sol perché sostengono con zelo le  santissime leggi scolpite da Dio negli animi umani e conforme all’esempio del  supremo Pastore difendono dai lupi rapaci il gregge loro affidato, subiscono  persecuzioni e vessazioni scagliate non soltanto contro di loro, ma (quel che è  per essi più crudele e più grave) anche contro le pecorelle affidate alle loro  cure, contro i loro compagni di apostolato e financo contro le vergini  consacrate a Dio. Pertanto, reputando diretto contro di Noi stessi un tale  affronto, ripetiamo la grande sentenza del Nostro Predecessore Gregorio Magno  d’immortale memoria: "Il Nostro onore e l’onore della Chiesa universale; il  Nostro onore e il solido vigore dei Nostri Fratelli; e allora Noi ci sentiamo  veramente onorati, quando il debito onore non viene negato a ciascuno d’essi"  (cfr. Ep. ad Eulog., 30; Migne, P. L., LXXVI, 993).
 
 c) Per motivo di bisogni scambievoliNé tuttavia bisogna credere che Cristo Capo, essendo posto in luogo così  sublime, non voglia l’aiuto del Corpo. Si deve infatti asserire di questo Corpo  mistico ciò che Paolo afferma del composto umano: "Il capo non può dire... ai  piedi: voi non mi siete necessari" (I Cor. XII, 21). Appare chiaramente  che i cristiani hanno assolutamente bisogno dell’aiuto del divin Redentore,  poiché Egli stessero ha detto: "Senza di me non potete far nulla" (Jo.  XV, 5), e, secondo la dottrina dell’Apostolo, ogni incremento di questo Corpo  mistico per la propria edificazione, dipende dal Capo Cristo (cfr. Eph.  IV, 16; Col. II, 19). Tuttavia bisogna anche ritenere, benché a prima  vista possa destar meraviglia, che anche Cristo ha bisogno delle Sue membra.  Anzitutto perché la persona di Gesù Cristo è rappresentata dal Sommo Pontefice,  il quale per non essere aggravato dal peso dell’ufficio pastorale, deve rendere  anche altri in molte cose partecipi della sua sollecitudine, e deve essere ogni  giorno alleggerito dall’aiuto di tutta la Chiesa supplicante. Inoltre il nostro  Salvatore, governando da Se stesso la Chiesa in modo invisibile, vuol essere  aiutato dalle membra del Suo Corpo mistico nell’esecuzione dell’opera della  Redenzione. Ciò veramente non accade per Sua indigenza e debolezza, ma piuttosto  perché Egli stesso così dispose per maggiore onore dell’intemerata sua Sposa.  Mentre infatti moriva sulla Croce, donò alla Sua Chiesa, senza nessuna  cooperazione di essa, l’immenso tesoro della Redenzione; quando invece si tratta  di distribuire tale tesoro, Egli non solo comunica con la Sua Sposa  incontaminata l’opera dell’altrui santificazione, ma vuole che tale  santificazione scaturisca in qualche modo anche dall’azione di lei. Mistero  certamente tremendo, né mai sufficientemente meditato: che cioè la salvezza di  molti dipenda dalle preghiere e dalle volontarie mortificazioni, a questo scopo  intraprese dalle membra del mistico Corpo di Gesù Cristo, e dalla cooperazione  dei Pastori e dei fedeli, specialmente dei padri e delle madri di famiglia, in  collaborazione col divin Salvatore. Ai motivi esposti, dai quali risulta che Gesù Cristo deve essere chiamato  Capo del suo Corpo sociale, bisogna aggiungerne altri tre, i quali si connettono  tra loro con intimi vincoli.
 
 d) Per motivo di similitudineIncominciamo dalla conformità che osserviamo tra il Corpo e il Capo, essendo  essi della medesima natura. A questo proposito bisogna avvertire che la nostra  natura, benché inferiore all’angelica, tuttavia per bontà di Dio vince la natura  degli angeli. "Cristo infatti — come osserva l’Aquinate — è Capo degli angeli.  Poiché Cristo è al di sopra degli angeli, anche secondo l’umanità... E anche in  quanto uomo illumina gli angeli e influisce in essi. Riguardo poi alla  conformità della natura, Cristo non è Capo degli angeli, perché non assunse la  natura degli angeli, ma (secondo l’Apostolo) assunse il seme di Abramo"  (Comm. in ep. ad Eph., cap. I, lect. 8; Hebr. II, 16-17). E  non solo assunse la nostra natura, ma Cristo si fece anche nostro consanguineo  in un corpo fragile e capace di soffrire e morire. Ora se il Verbo "si esinanì  prendendo la forma di servo" (Phil. II, 7), ciò fece anche per rendere  partecipi della divina natura (cfr. II Petr. I, 4) i suoi fratelli  secondo la carne, sia nell’esilio terreno con la grazia santificante, sia nella  patria celeste col possesso della beatitudine eterna Perciò l‘Unigenito  dell’eterno Padre volle essere figlio dell’uomo affinché noi divenissimo  conformi all’immagine del Figliuolo di Dio (cfr. Rom. VIII, 29) e ci  rinnovassimo secondo l’immagine di Colui che Ci ha creati (cfr. Col. III,  10). Sicché tutti coloro che si gloriano del nome di cristiani, non solo  considerino il nostro divin Salvatore come il più alto e più perfetto esemplare  di tutte le virtù, ma ne riproducano la vita e la dottrina nei propri costumi  mediante una diligente fuga dal peccato e un diligentissimo esercizio della  virtù, affinché quando apparirà il Signore, divengano simili a Lui nella gloria,  vedendolo com’Egli è (cfr. I Jo. III, 2). Gesù Cristo, come vuole che le singole membra siano simili a Lui, così anche  il Corpo della Chiesa. Ciò certamente avviene quando essa, seguendo le vestigia  del Suo Fondatore, insegna governa e immola il divin sacrificio. Essa inoltre,  quando abbraccia i consigli evangelici, riproduce in sé la povertà,  l’ubbidienza, la verginità del Redentore. Essa, per molteplici e varie  istituzioni di cui si orna come di gemme, fa vedere in certo modo Cristo che  contempla sul monte, che predica ai popoli, che guarisce gli ammalati e i  feriti, che richiama sulla buona via i peccatori, che fa del bene a tutti.  Nessuna meraviglia dunque se la Chiesa, finché rimane su questa terra, debba  subire ad imitazione di Cristo persecuzioni, sofferenze e dolori.
 
 e) Per motivo di pienezzaInoltre Cristo deve ritenersi Capo della Chiesa, perché, eccellendo nella  pienezza e nella perfezione dei doni soprannaturali, il Suo Corpo mistico  attinge dalla Sua pienezza. Infatti (osservano molti Padri), come il capo del  nostro corpo mortale gode di tutti i sensi, mentre le altre parti del nostro  composto usufruiscono soltanto del tatto, così le virtù, i doni, i carismi, che  sono nella società cristiana, risplendono tutti in modo perfettissimo nel suo  Capo Cristo. "In Lui piacque (al Padre) che abitasse ogni pienezza" (Col.  I, 19). Lo adornano quei doni soprannaturali che accompagnano l’unione  ipostatica, giacché lo Spirito Santo abita in Lui con tale pienezza di grazia da  non potersene concepire maggiore. A lui è stato conferito "ogni potere sopra  ogni carne" (cfr. Jo. XVII, 2); copiosissimi sono in Lui "tutti i tesori  della sapienza e della scienza" (Col. II, 3). E anche la visione  beatifica vige in Lui talmente, che sia per ambito sia per chiarezza supera del  tutto la conoscenza beatifica di tutti i Santi del cielo. E infine Egli è  talmente ripieno di grazia e di verità, che della sua inesausta pienezza noi  tutti riceviamo (cfr. Jo. I, 14-16). 
 f) Per motivo di influssoQueste parole poi del discepolo prediletto di Gesù Ci muovono a trattare  dell’ultima ragione per cui siamo in modo particolare costretti ad asserire che  Gesù Cristo è il Capo del suo Corpo mistico. Come i nervi si diffondono dal capo  in tutte le membra del nostro corpo, e danno loro facoltà di sentire e di  muoversi, così il nostro Salvatore infonde nella Sua Chiesa la Sua forza e  virtù, onde avviene che le cose divine siano dai fedeli più chiaramente  conosciute e più avidamente desiderate. Da Lui scaturisce nel Corpo della Chiesa  tutta la luce con cui i credenti sono illuminati da Dio, e tutta la grazia con  cui divengono santi come è santo Egli stesso. 
 illuminandoCristo illumina tutta la sua Chiesa, come dimostrano quasi innumerevoli  luoghi della Sacra Scrittura e dei Santi Padri. "Nessuno ha veduto mai Dio: il  Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, ce l’ha fatto conoscere" (cfr.  Jo. I, 18). Venendo da Dio in qualità di Maestro (cfr. Jo. III, 2)  per rendere testimonianza alla verità (cfr. Jo. XVIII, 37), illuminò  talmente con la Sua luce la primitiva Chiesa degli Apostoli, che il Principe  degli Apostoli esclamò: "Signore, da chi andremo? tal hai parole di vita eterna"  (cfr. Jo. VI, 68), dal cielo assistette gli Evangelisti in modo che essi  scrissero, come membra di Cristo, quasi sotto la dettatura del Capo (cfr.  August. De cons. evang., I, 35, 54; Migne, P. L., XXXIV, 1070). Egli  tuttora è l’Autore della nostra Fede in questa terra d’esilio, come ne sarà il  consumatore nella patria celeste (cfr. Hebr. XII, 2). Egli infonde nei  fedeli il lume della Fede; Egli arricchisce divinamente i Pastori e i Dottori, e  specialmente il suo Vicario in terra, dei doni soprannaturali della scienza,  dell’intelletto e della sapienza affinché custodiscano fedelmente il tesoro  della Fede, lo difendano strenuamente, e pienamente lo spieghino e  diligentemente lo ravvivino; Egli infine, sebbene non visto, presiede e guida i  Concili della Chiesa (cfr. Cyr. Alex., Ep. 55 de Symb; Migne, P. G., LXXVII,  293). 
 donando la santitàCristo è causa prima ed efficiente della santità, giacché non vi può essere  nessun atto salutare se non promani da Lui come da fonte suprema: "Senza di Me,  Egli ha detto, voi non potete far nulla" (cfr. Jo. XV, 5). Se, per i  peccati commessi, il nostro animo è mosso dal dolore e dalla penitenza, se con  timore e speranza filiale ci rivolgiamo a Dio, è sempre la Sua forza che ci  spinge. La grazia e la gloria nascono dalla inesausta pienezza. Il nostro  Salvatore arricchisce di continuo tutte le membra del Suo Corpo mistico e  specialmente le più eminenti, con i doni del consiglio, della fortezza, del  timore e della pietà, affinché tutto il Corpo aumenti sempre di più nella  santità e nella integrità della vita. E quando dalla Chiesa vengono amministrati  con rito esteriore i Sacramenti, è Lui che produce l’effetto interiore (cfr. S.  Thom. III, q. 64, a. 3). È Lui che nutrendo i redenti con la propria Carne e con  il proprio Sangue, seda i moti concitati e turbolenti dell’animo. È Lui che  aumenta la grazia e prepara alle anime e ai corpi il conseguimento della  gloria. Siffatti tesori della divina bontà, li partecipa alle membra del Suo Corpo  mistico, non solo perché li impetra dall’eterno Padre quale Vittima eucaristica  sulla terra e quale Vittima glorificata nel cielo, col pregare per noi e  mostrare le Sue piaghe, ma ancora perché Egli stesso sceglie, determina e  distribuisce a ciascuno le grazie "secondo la misura del dono di Cristo"  (Eph. VI, 7). Ne segue che dal divin Redentore come da fonte principale  "tutto il corpo ben composto e connesso per l’utile concatenazione delle  articolazioni efficacemente, nella misura di ciascuna delle sue parti, compie il  suo sviluppo per la edificazione di se stesso" (Eph. IV, 16; Col.  II, 19).
 
 Cristo è il «Sostentatore» del  CorpoVenerabili Fratelli, quelle cose che abbiamo sopra esposte, spiegando  brevemente il modo con cui Gesù Cristo vuole che l’abbondanza dei Suoi doni  dalla propria divina pienezza affluisca nella Chiesa affinché essa quanto più è  possibile sia a Lui somigliante Ci introducono a spiegare la terza ragione per  cui il Corpo sociale della Chiesa si fregia del nome di Cristo: ragione che  consiste nel fatto che il nostro Salvatore sostenta Egli stesso divinamente la  società da lui fondata. Come osserva acutamente e sottilmente il Bellarmino (cfr. De Rom.  Pont., I, 9; De Concil., II, 19), questo appellativo del Corpo di  Cristo non deve spiegarsi semplicemente col fatto che Cristo debba dirsi Capo  del Suo Corpo mistico, ma anche col fatto che Egli talmente sostenta la Chiesa e  talmente vive in certo modo nella Chiesa, che essa sussiste quasi come una  seconda persona di Cristo. Anche il Dottore delle Genti lo afferma, quando,  scrivendo ai Corinti, senz’altra aggiunta, denota la Chiesa col nome di "Cristo"  (cfr. I Cor. XII, 12), imitando in ciò lo stesso Maestro il quale a lui  che perseguitava la Chiesa aveva gridato dall’alto: "Saulo, Saulo, perché mi  perseguiti?". (cfr. Act. IX, 4; XXII, 7; XXVI, 14). Anzi, se crediamo al  Nisseno, spesso la Chiesa vien chiamata dall’Apostolo semplicemente "Cristo"  (cfr. Greg. Nyss. De vita Moysis; Migne P. G., XLIV, 385); né vi è ignoto,  Venerabili Fratelli, quel detto di Agostino: "Cristo predica Cristo" (cfr.  Serm., CCCLIV, 1; Migne, P. L., XXXIX, 1563).
 
 a) Per la sua nobilissima missione giuridicaTuttavia tale nobilissima denominazione non deve essere presa come se  appartenesse all’intera Chiesa quell’ineffabile vincolo con cui il Figlio di Dio  assunse un’individua umana natura; ma consiste in ciò che il nostro Salvatore  comunica talmente con la sua Chiesa i beni Suoi propri, che questa, secondo  tutto il suo modo di vivere, quello visibile e quello invisibile, presenta una  perfettissima immagine di Cristo. Poiché, per quella missione giuridica con la  quale il divin Redentore mandò nel mondo gli Apostoli come Egli stesso era stato  mandato dal Padre (cfr. Jo. XVII, 18; XX, 21), è proprio Lui che  battezza, insegna, governa, assolve, lega, offre, sacrifica, per mezzo della  Chiesa. 
 b) Per lo Spirito di CristoCon quell’alta donazione poi, del tutto interna e sublime che abbiamo sopra  accennata nel descrivere il modo d’influire del Capo nelle Sue membra, Gesù  Cristo fa vivere la Chiesa della sua propria superna vita, permeando con la Sua  divina virtù tutto il Corpo di lei, e alimentando e sostentando le singole  membra, secondo il posto che occupano nel Corpo, come la vite nutre e fa  fruttificare i tralci che le sono uniti (Leone XIII, Lett. Enc. "Sapientiæ  Christianæ"; "Satis cognitum"). Che se poi consideriamo attentamente questo divino principio di vita e di  virtù dato da Cristo, in quanto costituisce la stessa fonte di ogni dono e  grazia creata, capiremo facilmente che esso non è altro se non lo Spirito Santo,  che procede dal Padre e dal Figlio e che vien chiamato in modo proprio "Spirito  di Cristo", ossia "Spirito del Figlio" (Rom. VIII, 9; II Cor. III,  17; Gal. VI, 6). Per opera di questo Spirito di grazia e di verità, il  Figlio di Dio dispose la propria anima nel seno incontaminato della Vergine;  questo Spirito pone le Sue delizie nell’abitare nell’anima del Redentore come  nel suo tempio preferito; questo Spirito ci fu meritato da Cristo sulla Croce,  spargendo il proprio sangue; questo, Egli donò alla Chiesa per rimettere i  peccati, alitandolo sopra gli Apostoli (cfr. Jo. XX, 22); e mentre  soltanto Cristo ricevette questo Spirito senza misura (cfr. Jo. III, 34),  alle membra del Corpo mistico vien distribuito dalla pienezza dello stesso  Cristo secondo la misura del dono di Cristo (cfr. Eph. I, 8; IV, 7). Dopo  che Cristo fu glorificato sulla Croce, il Suo Spirito vien comunicato alla  Chiesa con copiosissima effusione, affinché le sue singole membra di giorno in  giorno siano sempre più simili al Redentore. È lo Spirito di Cristo che ci ha  resi figli adottivi di Dio (cfr. Rom. VIII, 14-17; Gai. IV, 6-7),  sicché un giorno "noi tutti, mirando a faccia svelata la gloria del Signore  quasi in uno specchio, siam trasformati di gloria in gloria nella stessa Sua  immagine" (cfr. II Cor. III, 18).
 
 c) Perché è l'anima del Corpo misticoA questo Spirito di Cristo, come a principio invisibile, bisogna anche  attribuire l’unione di tutte le parti del Corpo tra loro e con l’eccelso lor  Capo, risiedendo esso tutto nel Capo, tutto nel Corpo, tutto nelle singole  membra: a queste Egli è presente con la Sua assistenza in maniere diverse,  secondo i loro diversi uffici e il loro maggiore o minor grado di perfezione  spirituale. Egli, col suo celeste soffio di vita, è il principio d’ogni azione  vitale ed efficacemente salutare nelle diverse parti del mistico Corpo. Egli,  sebbene sia personalmente presente in tutte le mistiche membra e in esse  divinamente agisca, tuttavia nelle parti inferiori opera per ministero delle  membra superiori. Infine, mentre spirando la Sua grazia produce sempre nuovi  incrementi, pure non vuole abitare con la grazia santificante in quelle membra  che siano completamente separate dal Corpo. E questa presenza di attività dello  Spirito di Gesù Cristo fu con vigorosa sintesi espressa dal Nostro Predecessore  Leone XIII d’immortale memoria, nella Lettera Enciclica "Divinum illud",  dicendo: "Basti affermare che, essendo Cristo il Capo della Chiesa, lo Spirito  Santo è l’anima di essa". Se poi quella forza e virtù vitale con cui tutta la comunità dei Cristiani  vien sostentata dal suo Fondatore, la consideriamo non in se stessa, ma negli  effetti creati che da lei promanano, essa consiste nei doni celesti che, quale  causa efficiente della luce soprannaturale e della santità, il nostro Redentore  insieme col Suo Spirito dà alla Chiesa, e produce insieme allo stesso  Spirito.Perciò la Chiesa non diversamente che tutte le sante sue membra, può far  sua questa grande sentenza dell’Apostolo: "Vivo non più io, ma vive in me  Cristo" (Gal. II, 20).
 
 Cristo è il «Salvatore» del  CorpoLa nostra esposizione intorno al "Capo mistico" (cfr. Ambros. De Elia et  jejun., 10, 36-37 et In Psalm. 118, serm. 20, 2; Migne, P. L., XIV,  710 et XIV, 1483) rimarrebbero certamente monchi, se non accennassimo, almeno  brevemente, ad un’altra sentenza dello stesso Apostolo: "Cristo è Capo della  Chiesa: Egli il Salvatore del Corpo di lei" (Eph. V, 23). Con queste  parole, infatti, viene indicata l’ultima ragione per cui il Corpo della Chiesa è  fregiato del nome di Cristo. Cioè Cristo è il divino Salvatore di questo  Corpo.Egli infatti a buon diritto vien proclamato dai Samaritani "Salvatore del  mondo" (Jo. IV, 42); anzi senza alcun dubbio dev’essere chiamato  "Salvatore di tutti", sebbene con Paolo bisogna aggiungere che lo è  "specialmente dei fedeli" (cfr. I Tim. IV, 10), in quanto, a preferenza  di tutti gli altri, conquistò col Suo sangue le membra che costituiscono la  Chiesa (Act. XX, 28). Avendo già detto abbastanza sulla Chiesa nata dalla  Croce, su Cristo datore della luce, causa della santità e sostentatore del Suo  Corpo mistico, non è il caso di soffermarCi ancora su questo argomento, ma  piuttosto è opportuno meditare queste verità con animo umile e attento,  rivolgendo a Dio sentimenti di gratitudine perenne. Pertanto quello che il  nostro Salvatore pendente dalla Croce iniziò, non cessa di perpetuarlo nella  beatitudine celeste: "Il nostro Capo — dice Agostino — interpella per noi:  alcune membra egli riceve, altre flagella, altre purifica, altre consola; altre  ne crea, altre ne chiama, altre ne corregge, altre ne rinnova" (Enarr. in Ps.,  LXXXV, 5; Migne, P. L., XXXVII, 1085). Noi dobbiamo pertanto cooperare con  Cristo in quest’opera salutare, giacché "da Uno e per mezzo di Uno veniamo  salvati e salviamo" (Clem. Alex., Strom. VII, 2: Migne, P. G., IX, 413). 
 LA CHIESA È IL CORPO DI CRISTO  «MISTICO»Ed ora, Venerabili Fratelli, passiamo a un altro punto nella esposizione di  questa dottrina, per spiegare cioè perché il Corpo di Cristo (che è la Chiesa)  deve chiamarsi mistico. Tale denominazione, in uso presso parecchi antichi  scrittori, è comprovata da non pochi documenti dei Sommi Pontefici.  Quest’appellativo infatti deve adoperarsi per varie ragioni, poiché per mezzo di  esso si può distinguere il Corpo sociale della Chiesa, di cui Cristo è Capo e  condottiero, dal corpo fisico dello stesso Cristo, che nato dalla Vergine Madre  di Dio, è ora assiso alla destra del Padre in cielo e nascosto in terra sotto i  veli eucaristici: e, ciò che maggiormente importa per gli errori moderni, per  mezzo di questa determinazione lo si può distinguere da qualunque altro corpo  sia fisico sia morale. 
 Il corpo  mistico e il corpo fisicoMentre infatti nel corpo naturale il principio della unità congiunge le parti  in modo che le singole manchino completamente della propria sussistenza, invece  nel Corpo mistico la forza di mutua congiunzione, sebbene intima, unisce le  membra tra loro in modo che le singole godano del tutto di una propria  personalità. Se poi consideriamo il mutuo rapporto del tutto e delle singole  membra, esse in ogni corpo fisico vivente sono in ultima istanza destinate  soltanto a profitto di tutto il composto; mentre, in una compagine sociale di  uomini, nell’ordine della finalità dell’utilità, l’ultimo scopo è il bene di  tutti e di ciascun membro, essendo essi persone.Così (per ritornare al nostro  argomento), come il Figlio dell’eterno Padre discese dal cielo per la salvezza  eterna di noi tutti, così fondò il Corpo della Chiesa e lo arricchì del divino  Spirito per procurare ed assicurare la beatitudine delle anime immortali,  secondo il detto dell’Apostolo: "Tutte le cose sono vostre; voi siete di Cristo:  Cristo poi è di Dio" (I Cor. III, 23; Pio XI, Lettera Enciclica  "Divini Redemptoris"). La Chiesa, infatti, è costituita per il bene dei  fedeli e per la gloria di Dio e di Gesù Cristo che Egli ci ha mandato. 
 Il corpo mistico e il corpo puramente moraleSe poi confrontiamo il Corpo mistico con quello morale, allora bisogna notare  tra i due una differenza di somma importanza. Nel corpo morale, il principio di  unità non è altro che il fine comune e la comune cooperazione ad uno stesso  fine, mediante l’autorità sociale; invece nel Corpo mistico, di cui trattiamo, a  questa comune tendenza allo stesso fine si aggiunge un altro principio interno,  che esiste ed agisce vigorosamente nell’intera compagine e nelle singole sue  parti, ed è di tale eccellenza da superare immensamente per se stesso tutti i  vincoli di unità che compaginano sia un corpo fisico sia un corpo morale. Ciò,  come sopra abbiam detto, non è qualche cosa di ordine naturale, ma  soprannaturale, anzi in se stesso infinito ed increato, cioè lo Spirito divino  che, come dice l’Angelico, "uno e identico per numero, riempie ed unisce tutta  la Chiesa" (De Veritate, q. 29, a. 4. c.). Il retto significato dunque di questa voce rammenta che la Chiesa, la quale  deve ritenersi una società perfetta nel suo genere, non consta soltanto di  elementi ed argomenti sociali e giuridici. Essa è certamente molto più  eccellente di qualunque altra società umana (Leone XIII, Lettera Enciclica  "Sapientiæ Christianæ") e le supera come la grazia supera la natura e  come le cose immortali trascendono tutte le cose caduche (Leone XIII, "Satis  cognitum"). Certo le altre società umane, e specialmente la società civile,  van tenute in non poco conto; ma nel loro ordinamento non vi sono tutti gli  elementi della Chiesa, come nella parte materiale del nostro corpo mortale non  vi è tutto l’uomo. Sebbene, infatti, le ragioni giuridiche sulle quali anche la  Chiesa è fondata e costruita abbiano origine dalla costituzione divina datale da  Cristo e contribuiscano al conseguimento del suo fine soprannaturale, tuttavia  ciò che eleva la società cristiana a quel grado che supera assolutamente ogni  ordine naturale è lo Spirito del nostro Redentore che, come fonte di tutte le  grazie, doni e carismi, pervade intimamente la Chiesa e opera in essa. Come la  compagine del nostro corpo mortale, benché sia opera meravigliosa del Creatore,  pure dista moltissimo dall’eccelsa dignità dell’animo nostro, così la struttura  della società cristiana, benché sia tale da mostrare la sapienza del suo divino  Architetto, tuttavia è qualche cosa di ordine del tutto inferiore se si paragona  ai doni spirituali di cui essa è dotata e con cui essa vive e con la loro divina  sorgente.
 
 La Chiesa giuridica e la chiesa della CaritàDa quanto finora abbiamo spiegato, Venerabili Fratelli, appare il grave  errore sia di coloro che s’immaginano arbitrariamente la Chiesa quasi nascosta e  del tutto invisibile, sia di coloro che la confondono con altre istituzioni  umane fornite di regola disciplinare e riti esterni, ma senza comunicazione di  vita soprannaturale. Invece, come Cristo, Capo ed esemplare della Chiesa, "non è  tutto il Cristo se in Lui si considera o soltanto la natura umana visibile... O  soltanto la natura divina invisibile..., ma è uno con le due nature e nelle due  nature, così il Suo Corpo mistico". Il Verbo di Dio assunse l’umana natura  soggetta ai dolori, affinché, fondata la società visibile e consacrata col  sangue divino, "l’uomo fosse richiamato alle cose invisibili attraverso un  governo visibile" (S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4 ad 3). Perciò compiangiamo e riproviamo anche il funesto errore di coloro che  sognano una Chiesa ideale, una certa società alimentata e formata di carità,  alla quale (non senza disprezzo) oppongono l’altra che chiamano giuridica. Ma  erroneamente suggeriscono una tale distinzione: non avvertono infatti che il  divin Redentore volle che il ceto di uomini da Lui fondato fosse anche una  società perfetta nel suo genere, fornita di tutti gli elementi giuridici e  sociali per perpetuare in terra l’opera salutare della Redenzione (Conc. Vat.  Sess. IV, Const. dogm. de Eccl., prol.); perciò la volle arricchita dallo  Spirito Santo di celesti doni e grazie. L’Eterno Padre la volle, è vero, come  "regno del Figlio del suo amore" (Col. I, 13); ma un regno vero, nel  quale cioè tutti i credenti gli offrissero la completa sottomissione  dell’intelletto e della volontà (Conc. Vat., Sess. III, Const. de fide  cath., cap. 3), e con animo umile ed obbediente si cono formassero a Lui che  per noi "si fece ubbidiente sino alla morte" (Phil. II, 8). Dunque,  nessuna vera opposizione o ripugnanza può esistere tra la missione invisibile  dello Spirito Santo e l’ufficio giuridico che i Pastori e i Dottori hanno  ricevuto da Cristo. Anzi queste due realtà si completano e perfezionano a  vicenda (come in noi il corpo e l’anima) e procedono da un solo identico  Salvatore, il quale, quando alitò sugli Apostoli, non solo disse "Ricevete lo  Spirito Santo" (Jo. XX, 22), ma comandò anche a voce alta: "Come il Padre  mandò me, così anche io mando voi" (Jo. XX, 21), e "Chi ascolta voi,  ascolta me" (Luc. X, 16).
 Che se nella Chiesa si scorge qualche cosa che denota la debolezza della  nostra condizione, ciò non deve attribuirsi alla sua costituzione giuridica, ma  piuttosto alla deplorevole tendenza dei suoi singoli membri al male, tendenza  che il divin Fondatore permette che esista anche nei membri più ragguardevoli  del suo Corpo mistico, affinché venga messa alla prova la virtù sia delle  pecorelle sia dei Pastori e in tutti si accumulino i meriti della Fede  cristiana. Cristo infatti, come abbiam detto sopra, dal ceto che aveva fondato  non volle che fossero esclusi i peccatori: se dunque alcuni membri soffrono  malattie spirituali, non c’è motivo di diminuire il nostro amore verso la  Chiesa, ma piuttosto di aumentare la nostra pietà verso le sue membra.
 Sì, certamente, senza alcuna macchia risplende la pia Madre nei Sacramenti  con i quali genera ed alimenta i figli, nella fede che conserva sempre  incontaminata, nelle santissime leggi con le quali comanda, nei consigli  evangelici con i quali ammonisce, nei celesti doni e carismi con i quali nella  sua inesausta fecondità (cfr. Conc. Vat., Sess. III, Const. de fide  catholica, cap. 3) genera innumerevoli eserciti di martiri, di vergini e di  confessori. Ma non si può ascriverle a difetto se alcune membra languiscono  inferme o ferite: in nome loro ogni giorno essa stessa prega Dio dicendo:  "Rimetti a noi i nostri debiti" e nella loro cura spirituale si applica senza  indugio e con forte e materno animo.
 Quando dunque chiamiamo "mistico" il Corpo di Gesù Cristo, dal significato  stesso di questa parola riceviamo i più gravi ammaestramenti, che risuonano in  questo detto di San Leone: "Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, divenuto  partecipe della natura divina, non voler con un ignobile tenor vita, ritornare  all’antica bassezza. Ricordati di quale Capo e di quale Corpo sei membro" (Serm.  XXI, 3; Migne, P. L., LIV, 192-193).
 
 PARTE SECONDA L'UNIONE DEI FEDELI CON CRISTOCi piace ora, Venerabili Fratelli, trattare in modo particolarissimo  dell’unione nostra con Cristo nel Corpo della Chiesa. Questo argomento (come  giustamente osserva Agostino: cfr. August. Contra Faust. 21, 8; Migne, P.  L., XLII, 392) è cosa grande, arcana e divina, e perciò spesso avviene che da  alcuni sia compreso e spiegato male. Anzitutto è chiaro che quest’unione è  strettissima. Infatti, nella Sacra Scrittura, vien raffigurata nel vincolo d’un  casto matrimonio e paragonata ora all’unità vitale dei tralci con la vite, ora  alla stretta compagine del nostro corpo (cfr. Eph. V, 22-23; Jo.  XV, 1-5; Eph. IV, 16). Si presenta inoltre nei libri ispirati talmente  intima, che antichissimi documenti costantemente tramandati dai Padri e fondati  sul detto dell’Apostolo "Egli (Cristo) è il Capo della Chiesa" (Col. I,  18) insegnano che il divin Redentore costituisce con il Suo Corpo sociale una  sola Persona mistica, ossia come dice Agostino: tutto Cristo (cfr. Enarr. in  Ps., XVII, 51 et XC, 11, 1: Migne, P. L., XXXVI, 154 e XXXVII, 1159). Anzi lo  stesso Salvatore nostro nella sua preghiera sacerdotale non dubitò di paragonare  tale unione con quella mirabile unità per la quale il Figlio è nel Padre e il  Padre è nel Figlio (Jo. XVII, 21-23). 
 Vincoli giuridici e socialiQuesta nostra compagine in Cristo e con Cristo nasce anzitutto dal fatto che  la società cristiana, per volontà del suo Fondatore, è un Corpo sociale  perfetto, per cui in essa l’unione deve consistere nel concorso di tutte le  membra allo stesso fine. Quanto infatti è più nobile il fine cui questa  cooperazione tende, quanto più divina è la fonte dalla quale essa procede, tanto  più sublime diventa senza dubbio l’unità. Orbene, il fine è altissimo:  continuare cibò la santificazione delle membra dello stesso Corpo, per la gloria  di Dio e dell’Agnello che è stato ucciso per noi (Apoc. V, 12-1 3). La  fonte è divinissimo: il beneplacito dell’eterno Padre, l’amabile volontà del  nostro Salvatore, e specialmente l’interna ispirazione ed impulso dello Spirito  Santo negli animi nostri. Se infatti senza lo Spirito Santo non si può produrre  neppure un minimo atto che conduca alla salvezza, come possono innumerevoli  moltitudini d’ogni popolo e di ogni stirpe aspirare con lo stesso intento alla  gloria di Dio uno e trino, se non per le virtù di Colui che procede dal Padre e  dal Figlio in un solo eterno amore? Poiché, come abbiamo detto, questo Corpo sociale di Cristo deve essere  visibile per volontà del suo Fondatore, quella cospirazione di tutte le membra  deve anch’essa manifestarsi esternamente, sia per mezzo della professione d’una  fede, sia per la comunione dei medesimi Sacramenti, sia per la partecipazione  dello stesso sacrificio, sia per un’operosa osservanza delle stesse leggi. È poi  assolutamente necessario che sia manifestato agli occhi di tutti il Capo  supremo, cioè il Vicario di Cristo, dal quale venga efficacemente diretta la  cooperazione dei membri al conseguimento del fine proposto. Come, infatti, il  divin Redentore inviò il Paraclito Spirito di verità che per suo mandato (cfr.  Jo. XIV, 16 e 26) governasse invisibilmente la Chiesa, così ordinò a  Pietro e ai suoi Successori che, rappresentando in terra la Sua Persona  visibile, governassero la società cristiana.
 
 Virtù teologicheAi vincoli giuridici, tali in se stessi da trascendere quelli di qualsiasi  altra società umana anche suprema, è necessario aggiungere un’altra ragione di  unità proveniente da quelle tre virtù con le quali noi ci uniamo a Dio nel modo  più stretto, cioè: la fede, la speranza e la carità cristiane. Certo, come osserva l’Apostolo, "uno solo è il Signore, una sola la fede"  (Eph. IV, 5), quella fede cioè con la quale aderiamo a Dio e a Colui  ch’Egli mandò, Gesù Cristo (cfr. Jo. XVII, 8). Quanto intimamente  restiamo congiunti a Dio con questa fede, lo insegnano le parole del discepolo  prediletto: "Chiunque confesserà che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, Dio dimora  in lui ed egli in Dio" (I Jo. IV, 15). Né siamo meno congiunti tra di noi  e col nostro Capo divino, mediante questa fede cristiana. Infatti, tutti i  credenti, "avendo il medesimo spirito di fede" (II Cor. IV, 13), siamo  illuminati dalla medesima luce di Cristo, siamo nutriti al medesimo convito di  Cristo, siamo governati dalla medesima autorità e magistero di Cristo. Ché se  fiorisce in tutti il medesimo spirito di fede, tutti anche "viviamo (la stessa  vita) nella fede del Figlio che ci amò e diede Se stesso per noi" (cfr.  Gal. II, 20). E Cristo nostro Capo, che per la viva fede abbiamo ricevuto  in noi ed abita nei nostri cuori (cfr. Eph. III, 17), come è Autore della  nostra fede, così ne sarà il perfezionatore (cfr. Hebr. XII, 2).
 Come per mezzo della fede qui in terra aderiamo a Dio, fonte di verità, così  per mezzo della speranza cristiana lo desideriamo quale fonte di beatitudine,  "attendendo quella beata speranza che è l’apparizione gloriosa del grande Iddio"  (Tit. II, 13). Per quel comune desiderio poi del Regno celeste, per cui  non vogliamo avere qui sulla terra una dimora permanente ma cerchiamo quella  futura (cfr. Hebr. XIII, 14) e aneliamo alla gloria superna, l’Apostolo  delle Genti non dubitò di asserire: "Un colpo solo, un solo spirito, come siete  stati chiamati in un’unica speranza" (Eph. IV, 4); anzi Cristo risiede in  noi come la speranza della gloria (cfr. Col. I, 27).
 Ma se i vincoli della fede e della speranza, con i quali siamo congiunti al  nostro divin Redentore nel suo Corpo mistico, sono di grandissima importanza, di  non minore gravità ed efficienza sono i vincoli della carità. Infatti, se anche  in natura è cosa eccellentissima l’amore, dal quale nasce la vera amicizia, che  cosa deve dirsi di quell’amore soprannaturale che viene infuso nei nostri cuori  dallo stesso Dio? "Dio è carità: e chi sta nella carità, sta in Dio e Dio in  lui" (I Jo. IV, 16). La quale carità, quasi per legge istituita da Dio,  fa sì che Egli, riamandoci, discenda in noi che Lo amiamo, conforme alle parole  divine: "Se uno mi ama.... anche il Padre mio l’amerà e verremo a lui e faremo  sosta presso di lui" (Jo. XIV, 23). La carità dunque, più strettamente di  qualsiasi altra virtù ci congiunge con Cristo, dal cui celeste ardore  infiammati, tanti figli della Chiesa tran gioito nel poter essere oltraggiati  per Lui e nell’affrontare sino all’estremo anelito i più ardui sacrifici, anche  l’effusione del sangue. Perciò il nostro divin Salvatore ci esorta ardentemente  con le seguenti parole: "Perseverate nel mio amore". E poiché la carità è una  cosa inutile e del tutto vuota, se non è attuata e manifestata dalle buone  opere, soggiunge: "Se osserverete i miei comandamenti, persevererete nel mio  amore, conte io stesso ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo  amore" (Jo. XV, 9-10).
 
 Amore verso il prossimoÈ necessario però che all’amore verso Dio e verso Cristo corrisponda l’amore  verso il prossimo. Come possiamo infatti asserire di amare il divin Redentore,  se odiamo coloro ch’Egli redense col suo Sangue prezioso per farli membra del  suo Corpo mistico? Perciò così ci ammonisce l’Apostolo prediletto: "Se uno dirà:  io amo Dio e odierà il suo fratello, è mentitore. Infatti, chi non ama il suo  fratello che vede, come può amare Dio che non vede? E questo comandamento  abbiamo da Dio: che chi ama Dio, ami anche il proprio fratello" (I Jo.  IV, 20-21). Anzi, bisogna anche affermare che noi saremo sempre più uniti con  Dio e con Cristo, a misura che saremo membri uno dell’altro (Rom. XII, 5)  e vicendevolmente premurosi (I Cor. XII, 25); come d’altra parte, quanto  più saremo stretti a Dio e al nostro Capo divino con un ardente amore, tanto  maggiormente noi saremo compatti ed uniti mediante la carità. 
 Cristo ci ama con una conoscenza infinita Il Figlio Unigenito di Dio, già prima dell’inizio del mondo, con la sua  eterna infinita conoscenza e con un amore perpetuo, ci ha stretti a se. E perché  potesse manifestare tale amore in modo ammirabile e del tutto visibile,  congiunse a sé la nostra natura nell’unione ipostatica donde avviene che "in  Cristo la nostra carne ami noi", come, con candida semplicità, osserva Massimo  di Torino (Serm. XXIX; Migne, P. L., LVII, 594).e una carità  eterna
 In verità, questa amantissima conoscenza, con la quale il divin Redentore ci  ha seguiti sin dal primo istante della sua Incarnazione, supera ogni capacità  della mente umana, giacché, per quella visione beatifica di cui godeva sin dal  momento in cui fu ricevuto nel seno della Madre divina, Egli ha costantemente e  perfettamente presenti tutte le membra del Corpo mistico e le abbraccia col Suo  salvifico amore. O ammirabile degnazione della divina pietà verso di noi; o  inestimabile ordine dell’immensa carità! Nel presepio, sulla Croce, nella gloria  eterna del Padre, Cristo ha presenti e congiunti a Sé tutti i membri della  Chiesa in modo molto più chiaro e più amorevole di quello con cui una madre  guarda il suo figlio e se lo stringe al seno, e con cui un uomo conosce ed ama  se stesso.
 
 La Chiesa «pienezza» di  CristoDa quanto detto fin qui si vede chiaramente, Venerabili Fratelli, perché  l’Apostolo Paolo tanto frequentemente scriva che Cristo è con noi, e noi in  Cristo. Il che egli dimostra ancora con una ragione alquanto sottile. Cioè:  Cristo, come sufficientemente abbiamo detto sopra, è in noi per il Suo Spirito  che ci comunica e per mezzo del quale Egli talmente agisce in noi, da doversi  dire che qualsiasi cosa divina si operi nello Spirito Santo in noi, viene  operata anche da Cristo (cfr. S. Thom. Comm. in Ep. ad Eph., cap. II,  lect. 5)."Se uno non ha lo Spirito di Cristo (dice l’Apostolo), non è dei suoi:  se invece Cristo è in voi..., lo spirito vive per effetto della giustificazione"  (Rom. VIII, 9-10). Per la medesima comunicazione dello Spirito di Cristo, avviene poi che la  Chiesa sia quasi la pienezza ed il complemento del Redentore, perché tutti i  doni, le virtù e i carismi che si trovano eminentemente, abbondantemente ed  efficacemente nel Capo, derivano in tutti i membri della Chiesa e in essi si  perfezionano di giorno in giorno a seconda del posto di ciascuno nel Corpo  mistico di Gesù Cristo: quindi Cristo in certo modo e sotto ogni riguardo Si  completa nella Chiesa (cfr. S. Thom., Comm. in Ep. ad Eph., cap. I, lect.  8) Con le quali parole tocchiamo la stessa ragione per cui, secondo il parere  già accennato di Agostino, il Capo mistico, che è Cristo, e la Chiesa, la quale  rappresenta in terra la sua persona come un altro Cristo, costituiscono un unico  nuovo uomo, per il quale, nel perpetuare l’opera salutare della Croce, si  congiungono il cielo e la terra: ragione per cui possiamo dire come in sintesi:  Cristo, Capo e Corpo, tutto Cristo.
 
 L'inabitazione dello Spirito SantoCerto, non ignoriamo che nel comprendere e nello spiegare questa dottrina  riguardante la nostra unione con il divin Redentore e, in modo particolare,  l’inabitazione dello Spirito Santo nelle anime, vi sono velami che l’avvolgono  come caligine, a causa della debolezza della nostra mente. Ma sappiamo anche che  dalla retta ed assidua indagine di questa materia, dal conflitto delle varie  opinioni, dal concorso delle diverse teorie, purché in tale indagine siamo  diretti dall’amore della verità e dal debito ossequio verso la Chiesa,  scaturiscono e balzano fuori preziosi lumi, per mezzo dei quali si fa un vero  profitto negli studi sacri di questo genere. Non biasimiamo quindi coloro che  intraprendono diverse vie e metodi per trattare ed illustrare con ogni sforzo  l’altissimo mistero di questa nostra unione con Cristo. Però tutti abbiano  questo per certo ed indiscusso, se non vogliono allontanarsi dalla genuina  dottrina e dal retto insegnamento della Chiesa: respingere cioè, in questa  mistica unione, ogni modo con il quale i fedeli, per qualsiasi ragione,  sorpassino talmente l’ordine delle creature ed invadano erroneamente il campo  divino, che anche un solo attributo di Dio eterno possa predicarsi di loro come  proprio. Inoltre fermamente e con ogni certezza ritengano che in queste cose  tutto è comune alla Santissima Trinità, in quanto tutto riguarda Dio quale  suprema causa efficiente. Devono anche aver presente che in questo argomento si tratta di un mistero  occulto, il quale, in questo terrestre esilio, non può mai essere intravveduto  libero da ogni velame, né può mai essere espresso da lingua umana. Si dice che  le Persone divine inabitano, in quanto che, presenti in modo imperscrutabile  negli esseri dotati di intelletto, questi Si pongono con esse in relazione  mediante la conoscenza e l’amore in un modo del tutto intimo e singolare che  trascende ogni natura creata. Per tentare di comprendere alquanto questo modo,  bisogna aver presente il metodo tanto raccomandato dal Concilio Vaticano nelle  cose di tal genere, per cui si paragonano gli stessi misteri tra di loro e col  loro fine supremo, sforzandosi di attingere quel tanto di luce che faccia almeno  intravvedere gli arcani divini. Quindi opportunamente il sapientissimo Nostro  Predecessore Leone XIII di felice memoria, parlando di questa nostra unione con  Cristo e del divin Paraclito inabitante in noi, volge gli occhi a quella beata  visione con la quale un giorno questa mistica unione otterrà il suo compimento  nel cielo; e dice: "Questa mirabile unione, detta con norie suo proprio  inabitazione, si differenzia da quella con cui Iddio abbraccia e fa beati i  celesti, soltanto per la nostra condizione (di viatori sulla terra)". In quella  celeste visione, sarà concesso agli occhi della mente umana rinvigoriti da luce  soprannaturale di contemplare in maniera del tutto ineffabile il Padre, il  Figlio e lo Spirito Santo, di assistere per tutta l’eternità al procedere delle  divine Persone l’Una dall’Altra, beandosi di un gaudio molto simile a quello con  cui è beata la santissima e indivisa Trinità.
 Quanto finora abbiamo esposto di questa intima unione del Corpo mistico di  Gesù Cristo col suo Capo, ci parrebbe imperfetto, se qui non aggiungessimo  almeno poche parole intorno alla santissima Eucaristia, con la quale una  siffatta unione in questa vita mortale raggiunge il grado più alto.
 
 L'Eucarestia segno di unitàGesù Cristo volle che questa mirabile unione, mai abbastanza lodata, per la  quale veniamo congiunti tra di noi e col divino nostro Capo, si manifestasse ai  credenti in modo speciale per mezzo del Sacrificio eucaristico. In esso infatti  i ministri dei Sacramenti non solo rappresentano il Salvatore nostro, ma anche  tutto il Corpo mistico e i singoli fedeli; in esso i fedeli, uniti al sacerdote  nei voti e nelle preghiere comuni, per le mani dello stesso sacerdote offrono  all’eterno Padre, quale ostia gratissima di lode e di propiziazione per i  bisogni di tutta la Chiesa, l’Agnello immacolato, dalla voce del solo sacerdote  reso presente sull’altare. E come il divin Redentore, morendo in Croce, offrì all’eterno Padre Se stesso  quale Capo di tutto il genere umano, così "in quest’oblazione pura" (Mal.  I, 11), non offre quale Capo della Chiesa soltanto Se stesso, ma in Se stesso  offre anche le sue mistiche membra, poiché Egli nel Suo Cuore amantissimo tutte  le racchiude, anche se deboli ed inferme.
 Il Sacramento dell’Eucaristia, vivida e mirabile immagine dell’unità della  Chiesa in quanto il pane da consacrarsi deriva da molti grani che formano una  cosa unica (cfr. Didaché, IX, 4), ci dà lo stesso Gutore della grazia  santificante, affinché da Lui attingiamo quello Spirito di carità con cui  viviamo non già la nostra vita ma la vita di Cristo, e in tutti i membri del Suo  Corpo sociale amiamo lo stesso Redentore.
 Se dunque, nelle tristissime circostanze in cui ora versiamo, vi sono  moltissimi i quali aderiscono talmente a Gesù Cristo nascosto sotto i veli  eucaristici da non poter essere separati dalla sua carità né dalla tribolazione  né dall’angoscia né dalla fame né dalla nudità né dal pericolo né dalla  persecuzione né dalla spada (cfr. Rom. VIII, 35), allora senza dubbio la  sacra Comunione, non senza consiglio del provvidentissimo Iddio ritornata in  questi ultimi tempi d’uso frequente anche per i fanciulli, potrà diventare fonte  di quella fortezza che non raramente suscita e fomenta anche eroi cristiani.
 
 PARTE TERZA  ESORTAZIONE PASTORALE  ERRORI DELLA VISTA ASCETICAVenerabili Fratelli, se i cristiani comprenderanno piamente e rettamente  queste cose e diligentemente le riterranno, più facilmente potranno guardarsi  anche da quegli errori che, con grande pericolo della fede cattolica e  turbamento degli animi, scaturiscono dall’investigazione, da alcuni  arbitrariamente intrapresa, di questa difficile materia. 
 Falso  «misticismo»Infatti non mancano coloro i quali non considerano abbastanza metaforicamente  e senza distinguere (com’è assolutamente necessario) i significati particolari e  propri di corpo fisico, di corpo morale, di Corpo mistico, e quindi danno di  questa unione una spiegazione pervertita. Costoro fanno unire e fondersi in una  stessa persona fisica il divin Redentore e le membra della Chiesa: e mentre  attribuiscono agli uomini cose divine, fanno Gesù Cristo soggetto ad errori e a  debolezze umane. Dalla falsità di questa dottrina ripugnano la fede cattolica e  i precetti dei Santi Padri, rifuggono la mente e la dottrina dell’Apostolo delle  Genti, il quale, sebbene congiunga tra loro con mirabile fusione Cristo e il  Corpo mistico, tuttavia oppone l’uno all’altro come lo Sposo alla Sposa (cfr.  Eph. V, 22-23). 
 Falso «quietismo»Non meno lontano dalla verità è il pericoloso errore di coloro che  dall’arcana unione di noi tutti con Cristo si studiano di dedurre un certo  insano quietismo, con il quale tutta la vita spirituale dei cristiani e il loro  progresso nella virtù vengono attribuiti unicamente all’azione del divino  Spirito, escludendo cioè e tralasciando da parte la nostra debita cooperazione.  Nessuno certamente può negare che il Santo Spirito di Gesù Cristo sia l’unica  fonte donde promana nella Chiesa e nelle sue membra ogni forza superna. Infatti,  come: dice il Salmista, "il Signore largisce grazia e gloria" (Psal. LXXXIII,  12). Ma che gli uomini perseverino costantemente nelle opere di santità, che  progrediscano alacremente nella grazia e nella virtù, che infine non soltanto  tendano strenuamente alla vetta della perfezione cristiana, ma spingano secondo  le proprie forze anche gli altri a conseguire la medesima perfezione, tutto  questo, lo Spirito celeste non vuoi compierlo se gli stessi uomini non cooperano  ogni giorno con diligenza operosa. "Infatti — come osserva Ambrogio — i benefici  divini non vengono trasmessi a chi dorme, ma a chi veglia" (Expos. Evang. sec.  Luc., IV, 49; Migne, P. L., XV, 1626). Poiché, se nel nostro corpo mortale le  membra si corroborano e si sviluppano con ininterrotto esercizio, molto più ciò  accade nel Corpo sociale di Gesù Cristo, nel quale le singole membra godono di  una propria libertà, coscienza, azione. Perciò chi disse: "Vivo, non più lo, ma  vive in me Gesti" (Gal. II, 20), quello stesso non dubitò di asserire:  "La grazia di Lui, cioè di Dio, verso di me non fu cosa vana; anzi ho faticato  spiò di tutti loro, non già io, ma la grazia di Dio con me" (I Cor. XV,  10). Quindi è chiarissimo che in queste fallaci dottrine, il mistero di cui  trattiamo non sarebbe diretto allo spirituale profitto dei fedeli, ma si  volgerebbe miseramente alla loro rovina. 
 Errori circa la confessione sacramentale e l'orazioneDa tali false asserzioni proviene anche che alcuni asseriscano non doversi  molto inculcare la frequente confessione dei peccati veniali, poiché meglio si  adatta quella confessione generale che ogni giorno la Sposa di Cristo con i suoi  figli a sé congiunti nel Signore fa per mezzo dei sacerdoti sul punto di  ascendere all’altare di Dio.È vero che in molte lodevoli maniere, come voi o  Venerabili Fratelli, ben conoscete, possono espiarsi questi peccati, ma per un  più spedito progresso nel quotidiano cammino della virtù, raccomandiamo  sommamente quel pio uso, introdotto dalla Chiesa per ispirazione dello Spirito  Santo, della confessione frequente, con cui si aumenta la retta conoscenza di se  stesso, cresce la cristiana umiltà, si sradica la perversità dei costumi, si  resiste alla negligenza e al torpore spirituale, si purifica la coscienza, si  rinvigorisce la volontà, si procura la salutare direzione delle coscienze e si  aumenta la grazia in forza dello stesso Sacramento. Quelli dunque che fra il  giovane clero attenuano o estinguono la stima della confessione frequente,  sappiano che intraprendono cosa aliena dallo Spirito di Cristo e funestissima al  Corpo mistico del nostro Salvatore. Vi sono inoltre alcuni i quali o negano alle nostre preghiere ogni vera  efficacia d’impetrazione, ovvero si sforzano d’insinuare nelle menti che le  suppliche rivolte a Dio in privato bisogna ritenerle di poco valore, mentre  piuttosto quelle pubbliche usate nel nome della Chiesa realmente valgono come  quelle che partono dal Corpo mistico di Gesù Cristo. Ciò è affatto erroneo:  poiché il divin Redentore non ha a Sé strettissimamente congiunta soltanto la  Sua Chiesa, quale amantissima Sposa, ma in essa, anche gli animi dei singoli  fedeli, con i quali desidera ardentemente trattenersi in intimi colloqui,  specialmente dopo che si sono accostati alla mensa eucaristica. E benché la  preghiera collettiva, come procedente dalla Madre Chiesa, superi tutte le altre  per la dignità della Sposa di Cristo, pure tutte le preghiere, dette anche in  forma privatissima, non sono prive di dignità né di virtù e conferiscono  moltissimo anche all’utilità di tutto il Corpo mistico, in quanto che tutto ciò  che si compie di bene e di retto dai singoli membri ridonda anche in profitto di  tutti, grazie alla Comunione dei Santi. Né ai singoli uomini, appunto perché  membra di questo Corpo, si vieta di chiedere per se stessi grazie speciali anche  per quanto riguarda la vita presente, serbando tuttavia la conformità alla  volontà di Dio: essi infatti rimangono persone libere e soggette ai propri  individuali bisogni (cfr. S. Thom. II-II, q. 83, a. 5 et 6). Quanto poi debbano  tutti grandemente stimare la mediazione delle cose celesti, è comprovato non  soltanto dai documenti della Chiesa ma anche dall’uso e dall’esempio di tutti i  Santi.
 Certuni infine dicono che le nostre preghiere non devono essere dirette alla  stessa persona di Gesù Cristo, ma piuttosto a Dio o all’eterno Padre per mezzo  di Cristo, poiché il nostro Salvatore, in quanto Capo del suo Corpo mistico,  dov’essere considerato semplicemente "mediatore di Dio e degli uomini" (I  Tim. II, 5). Ma ciò non solo si oppone alla mente della Chiesa e alla  consuetudine dei cristiani, ma offende anche la verità. Cristo infatti, per  parlare con esatto linguaggio, è Capo di tutta la Chiesa (cfr. S. Thom. De  Veritate, q. 29, a. 4, c.) secondo l’una e l’altra natura insieme, la divina  e l’umana, e del resto Egli stesso asserì solennemente: "Se mi domanderete  qualche cosa in mio nome, io lo farò" (Jo. XIV, 14). E sebbene le  preghiere sian rivolte all’eterno Padre per mezzo del suo Unigenito di  preferenza nel Sacrificio eucaristico, nel quale Cristo, essendo Egli stesso  Sacerdote ed Ostia, compie in modo speciale l’ufficio di conciliatore, tuttavia  non poche volte e persino nello stesso santo Sacrificio, si usano preghiere  rivolte allo stesso divin Redentore, giacché tutti i Cristiani devono conoscere  e comprendere chiaramente che l’uomo Gesù Cristo è lo stesso Figlio di Dio e il  medesimo Dio. Anzi, mentre la Chiesa militante adora e prega l’Agnello  incontaminato e la sacra Ostia, sembra che in certo modo risponda alla voce  della Chiesa trionfante che canta in eterno: "A colui che siede sul trono e  all’Agnello, la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i secoli dei  secoli" (Apoc. V, 13).
 
 ESORTAZIONE PER AMARE LA CHIESAOra che, Venerabili Fratelli, nell’accurata spiegazione di questo mistero che  riassume l’arcana unione di tutti noi con Cristo, nella nostra qualità di  Maestro della Chiesa universale, abbiamo irradiate le menti con la luce della  verità, riteniamo conforme al Nostro pastorale ufficio aggiungere anche uno  sprone agli animi, affinché un tale Corpo mistico venga amato con quell’ardore  di carità che non si limita ai pensieri e alle parole, ma che prorompe in  attività di opere. Poiché, se i seguaci dell’antica legge poterono così cantare  della loro Città terrestre: "Se mi dovessi dimenticare di te, o Gerusalemme,  cada in oblio la mia destra; resti attaccata al palato la mia lingua se non mi  ricordo di te, se non colloco Gerusalemme al disopra di ogni mia gioia" (Psal.  CXXXVI, 5-6), con quanta maggior gloria e più ampio gaudio, abbiamo noi il  dovere di esultare appunto per questo che siamo cittadini di una Città costruita  sul monte santo con vive e scelte pietre e della quale è "pietra angolare Gesù  Cristo" (Eph. II, 20; I Petr. II, 4-5). Giacché niente si può  immaginare di più glorioso, niente di più nobile, niente senza dubbio di più  onorifico, che appartenere alla santa, cattolica, apostolica e romana Chiesa,  per la quale diventiamo membra di un unico e così venerando Corpo, siamo guidati  da un unico e così eccelso Capo, siamo ripieni di un unico e divino Spirito,  siam nutriti in questo terrestre esilio da una sola dottrina e da uno stesso  Pane angelico, finché ci ritroveremo a godere di un’unica sempiterna beatitudine  nei cieli. 
 Sia un amore solidoMa, per non essere ingannati dall’angelo delle tenebre che suol trasfigurarsi  in angelo di luce (cfr. II Cor. XI, 14), sia norma suprema del nostro  amore l’amare la Sposa di Cristo quale Cristo stesso la volle, conquistandola  con il sangue. Quindi non solo ci devono stare sommamente a cuore i Sacramenti  con i quali la Madre nostra Chiesa amorosamente ci nutre; non solo devono  esserci carissime le grandi feste che celebra a nostra consolazione e gioia, e i  sacri cantici e i riti liturgici, con i quali innalza le nostre menti alle cose  celesti; ma dobbiamo anche avere in gran conto quelli che si chiamano  sacramentali, come pure tutte le pratiche di pietà con le quali la Chiesa stessa  mira a pervadere soavemente dello Spirito di Cristo gli animi dei fedeli, per  loro consolazione. Né soltanto è nostro dovere il ricambiare come conviene a  figli la materna pietà della Chiesa verso di noi, ma dobbiamo anche professarle  riverenza per l’autorità conferitale da Cristo, in modo tale da sottometterle  pienamente il nostro giudizio, in ossequio a Cristo stesso (cfr. II Cor.  X, 5). Onde siamo tenuti ad obbedire alle sue leggi e ai suoi precetti in fatto  di costumi, anche se talvolta ciò riesca abbastanza duro alla nostra natura,  decaduta qual è dallo stato dell’innocenza originale. Così pure dobbiamo  reprimere con volontarie penitenze la nostra carne ribelle, ci viene anzi  inculcato di saper talvolta rinunziare a cose piacevoli, anche se non siano  nocive. Né dobbiamo limitarci ad amare questo Corpo mistico perché insigne per  la divinità del suo Capo e per le sue doti celesti, ma dobbiamo amarlo con amore  operoso anche quale si manifesta in questa nostra carne mortale, composta  talvolta di membra che hanno tutte le debolezze dell’umana natura, anche se esse  siano meno degne del posto che occupano in quel venerando Corpo. 
 Col quale vediamo Cristo nella ChiesaAd ottenere poi che un tal pienissimo amore regni negli animi nostri e di  giorno in giorno aumenti, è necessario assuefarsi a riconoscere nella Chiesa lo  stesso Cristo. È infatti Cristo che nella sua Chiesa vive, che per mezzo di lei  insegna, governa, comunica la santità; è Cristo che in molteplici forme si  manifesta nelle varie membra della Sua società. Se tutti i Cristiani si daranno  con impegno a vivere di un così vigoroso spirito di Fede, allora non solo essi  tributeranno il debito ossequio d’onore alle più eccelse membra di questo  mistico Corpo e specialmente a quelle che per mandato del divin Capo un giorno  dovranno render conto delle anime nostre (cfr. Hebr. XIII, 17); ma  avranno a cuore anche quelle membra verso le quali il Salvator nostro dimostrò  un amore di preferenza: i deboli, i feriti e i malati bisognosi o di medicina  materiale o di medicina soprannaturale, i fanciulli la cui innocenza si trova  oggi esposta a tanti pericoli e la cui tenera anima è plasmabile come cera, i  poveri infine, nei quali, mentre li soccorriamo, dobbiamo ravvisare la persona  stessa di Gesù Cristo. Ben a ragione l’Apostolo ci avverte: "Le membra del corpo che paiono più  deboli sono molto più necessarie, e quelle che stimiamo di minor pregio, noi le  circondiamo di onore maggiore" (I Cor. XII, 22-23). Tale gravissima  sentenza Noi, consapevoli della altissima responsabilità che Ci vincola,  riteniamo doveroso ripetere al giorno d’oggi, mentre con profonda afflizione  vediamo che ai deformi di corpo, ai deficienti ed agli affetti di malattie  ereditarie vien talora tolta la vita, come se costituissero un molesto peso per  la società.Peggio ancora, tale espediente da certuni si esalta come una trovata  dell’umano progresso, quanto mai giovevole al comune benessere. Ma chi mai, se  abbia senno, non vede che ciò ripugna non soltanto alla legge naturale e divina  (cfr. Decr. S. Offic., 2 Dec. 1940: A. A. S. 1940, p. 553), impressa nell’animo  di ciascuno, ma è violenta offesa contro i nobili sensi di umanità? Il sangue di  tali sventurati, al nostro Redentore tanto più cari quanto più degni di  commiserazione, "grida a Dio dalla terra" (cfr. Gen. IV, 10).
 
 Imitiamo l'amore di Cristo verso la ChiesaAffinché poi quella sincera carità, per la quale nella Chiesa e nelle sue  membra dobbiamo riguardare il nostro Salvatore, non vada a poco a poco  illanguidendosi, è di somma opportunità che teniamo di mira lo stesso Gesù come  insuperabile modello di amore verso la Chiesa. 
 a) Con larghezza di amoreAnzitutto, cerchiamo d’imitare l’estensione di tale amore. Unica è la Sposa  di Cristo, e questa è la Chiesa: eppure l’amore dello Sposo divino ha tale  ampiezza che, senza escludere alcuno, nella sua Sposa abbraccia tutto il genere  umano. La causa infatti per cui il Salvator nostro sparse il Suo sangue, fu  appunto per riconciliare con Dio nella Croce tutti gli uomini, per quanto  diversi di nazione e di stirpe, e farli congiungere in un unico Capo. Il vero  amore della Chiesa esige quindi non solo che siamo vicendevolmente solleciti  l’uno dell’altro (cfr. Rom. XII, 5; I Cor. XII, 25), come membri  dello stesso Corpo, che godono della gloria degli altri membri e soffrono  dell’altrui dolore (cfr. I Cor. XII, 26), ma che altresì negli altri  uomini, sebbene non ancora a noi congiunti nel Corpo della Chiesa, riconosciamo  fratelli di Cristo secondo la carne, chiamati insieme con noi alla medesima  eterna salvezza. Purtroppo, specialmente oggigiorno, non mancano coloro che nella loro  superbia esaltano l’avversione, l’odio, il livore come qualcosa che elevi e  nobiliti la dignità e il valore umano. Noi però, mentre vediamo con dolore i  funesti frutti di tale dottrina, seguiamo il nostro pacifico Re, che ci insegnò  ad amare non solo quelli che non sono della nostra nazione e della nostra stirpe  (cfr. Luc. X 33-37), ma persino i nemici (cfr. Luc. VI, 27-35;  Matth. V, 44-48). Noi, con l’animo penetrato del soavissimo sentimento  dell’Apostolo delle genti, con lui esaltiamo quale e quanta sia la lunghezza, la  larghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo (cfr. Eph. III,  18); quell’amore, cioè, che nessuna diversità d’origine e di costumi può  fiaccare, che neppure l’immensa distesa dell’oceano può attenuare; e che  finalmente neppure le guerre, siano esse intraprese per causa giusta o ingiusta,  potranno mai distruggere.
 In quest’ora così grave, Venerabili Fratelli, mentre tanti corpi sono  dolorosamente straziati e tante anime oppresse di tristezza, è necessario  richiamar tutti a questi sensi di suprema carità, affinché nello sforzo  collettivo di tutti i buoni si sovvenga a così immani necessità spirituali e  materiali, in una meravigliosa gara d’amore e di commiserazione: il Nostro  pensiero va particolarmente agli appartenenti a qualsiasi di quelle  organizzazioni che esplicano opere di soccorso. Per tal modo, la generosità  piena di zelo del Corpo mistico di Gesù Cristo e la sua inesausta fecondità  diffonderanno i loro splendori in tutto il mondo.
 
 b) Con assidua operositàDato poi che all’ampiezza della carità onde Cristo amò la sua Chiesa  corrisponde la Sua amorosa costanza di opere, di questa stessa carità noi tutti,  con assidua e zelante volontà, dobbiamo amare il Corpo mistico di Cristo. Ed  invero non è possibile trovare nella la vita del nostro Redentore un’ora sola in  cui non abbia lavorato fino a spossarsi di fatica, benché fosse Figlio di Dio,  per fondare la sua Chiesa o per renderla stabile: dalla Sua Incarnazione,  allocche gettò la prima base della Chiesa, fino al termine del Suo corso  mortale, con gli esempi della più fulgida santità, con la predicazione, con la  conversazione, col radunar le turbe, con l’insegnare. È Nostro desiderio adunque  che tutti, quanti riconoscono la Chiesa per madre, ponderino con diligenza che  non solo ai sacri Ministri od a coloro soltanto che tran fatto oblazione di sé a  Dio nella vita religiosa, ma anche agli altri membri del mistico Corpo di  Cristo, per ciascuno in ragione della propria possibilità, incombe il dovere di  affaticarsi con ogni impegno e diligenza alla costruzione ed all’incremento del  medesimo Corpo. In modo speciale desideriamo che a ciò pongano mente (come del  resto già lodevolmente fanno) coloro che, arruolati nelle schiere dell’Azione  Cattolica, cooperano all’apostolato dei Vescovi e dei Sacerdoti nella loro  attività apostolica; come pure coloro che, riuniti in pii sodalizi, collaborano  allo stesso fine. Non c’è chi non veda come la solerte attività di tutti costoro  sia di somma importanza e di massima gravità nelle attuali circostanze. Né possiamo astenerci dal dire una parola ai padri e alle madri di famiglia,  cui il Redentore nostro affidò le membra più delicate del suo mistico Corpo. Li  scongiuriamo quindi ardentemente che, per amore di Cristo e della Chiesa,  provvedano con tutta sollecitudine alla prole data loro in consegna, affinché si  guardi da ogni sorta di insidie con le quali oggi viene con tanta facilità  adescata.
 
 c) Senza tralasciare le preghiereIn particolar modo il Redentore nostro manifestò il suo ardentissimo amore  per la Chiesa con le supplici preghiere innalzate per essa al suo celeste Padre.  Giacché (per citar solo qualche esempio) è noto a tutti, Venerabili Fratelli,  come Egli mentr’era per salire sul patibolo della Croce, elevò accesissime  preghiere per Pietro (cfr. Luc. XXII, 32), per gli altri Apostoli (cfr.  Jo. XVII, 9-19), e finalmente per tutti coloro che, alla predicazione  della divina parola, avrebbero creduto in Lui (cfr. Jo. XVII, 20-23). 
 Per i membri della ChiesaAd esempio di Cristo, anche noi dobbiamo chiedere ogni giorno che il Signore  voglia inviare operai alla sua messe (cfr. Matth. IX, 38;  Luc.X,2); ogni giorno la comune preghiera deve salire al cielo per  raccomandare tutte le membra del mistico Corpo di Gesù Cristo. In primo luogo i  sacri Presuli, alla cui particolare sollecitudine è affidata la propria Diocesi;  poi i Sacerdoti e infine i Religiosi e le Religiose che, seguendo la chiamata di  Dio, sia in patria che in paesi infedeli difendono, accrescono, promuovono il  Regno del Redentore divino. Nessuno dei membri di questo venerando Corpo  dev’essere dimenticato nella comune preghiera; ma specialmente si abbiano  presenti quelli che o sono oppressi dalle sofferenze o dalle angosce di questa  terra o, compiuto il corso mortale, vengono purificati nelle fiamme espiatrici.  E neppure debbono essere trascurati coloro che si stanno istruendo nella  dottrina cristiana, affinché si possano al più presto mondare nel lavacro delle  acque battesimali. Bramiamo altresì fortemente che le comuni preghiere abbraccino nella stessa  ardente carità sia coloro che non ancora illuminati dalla verità evangelica, non  sono al sicuro nell’ovile della Chiesa, sia coloro che, a causa di una  miserevole scissione dell’unità della Fede, si sono separati da Noi che, pur  immeritevoli, rappresentiamo in terra la persona di Gesù Cristo. Per questo  ripetiamo l’orazione divina del nostro Salvatore al Padre Celeste: "Che tutti  siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te, così anch’essi siano  in noi una cosa sola; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jo.  XVII, 21).
 
 Per coloro che ancora non sono membriAnche questi che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come  voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato,  li affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando  solennemente che dietro l’esempio del buon Pastore, nulla Ci stava più a cuore  che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cfr. Lett. Enc.  "Summi Pontificatus"). E quella solenne Nostra affermazione, dopo aver  implorate le preghiere di tutta la Chiesa, intendiamo ripetere in questa Lettera  Enciclica, con la quale abbiamo celebrato le lodi "del grande e glorioso Corpo  di Cristo" (Iren. Adv. Hær., IV, 33, 7; Migne, P. G., VII, 1076): con animo  straripante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente  gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi al loro  stato in cui non possono sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX "Jam  nos omnes", 13 Sett. 1868: Act. Conc. Vat. C. L., VII, 10), perché, sebbene  da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo  del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo  nella Chiesa Cattolica è dato di godere. Rientrino perciò nella cattolica unità  e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, vengano con  Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore (cfr. Gelas. I,  Epist. XIV: Migne, P. L., LIX, 89). Senza mai interrompere di pregare lo Spirito  dell’amore e della verità, Noi li aspettiamo con le braccia aperte, non come  estranei, ma quali figli che entrino nella loro stessa casa paterna. Però, mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da  parte di tutto il Corpo mistico affinché tutti gli sviati entrino al più presto  nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo che è assolutamente necessario che  ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo  vuole (cfr. August., In Jo. Ev. tract., XXVI, 2: Migne, P. L., XXX,  1607). Se alcuni, non credenti, vengono di fatto spinti ad entrare nell’edificio  della Chiesa, ad appressarsi all’altare, a ricevere i Sacramenti, costoro, senza  alcun dubbio, non diventano veri cristiani, (cfr. August., ibidem), poiché la  Fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio (Hebr. XI, 6), deve  esser libero "ossequio dell’intelletto e della volontà" (Conc. Vat., De Fide  cath., cap. 3). Se dunque dovesse talvolta accadere che, in contrasto con la  costante dottrina di questa Sede Apostolica (cfr. Leo XIII: "Immortale  Dei"), taluno venga spinto suo malgrado ad abbracciare la Fede cattolica,  Noi non possiamo esimerCi, per coscienza del Nostro dovere, dall’esprimere la  Nostra riprovazione. E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono  anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare  della propria libertà, è perciò necessario che vengano attratti con efficacia  alla verità dal Padre dei lumi per opera dello Spirito del Suo diletto  Figlio.
 Che ancora molti, purtroppo, errano lontani dalla cattolica verità e non  piegano l’animo all’afflato della grazia divina, ciò avviene perché né essi  (cfr. August., ibidem), né i fedeli cristiani innalzano a Dio più ferventi  preghiere a tal fine. Noi quindi vivamente e insistentemente esortiamo tutti  coloro che sentono amore per la Chiesa, affinché, seguendo l’esempio del divin  Redentore, non cessino mai di elevare tali suppliche.
 
 Per i GovernantiE del pari, soprattutto nel momento attuale, Ci sembra non solo opportuno ma  necessario che vengano innalzate ardenti suppliche per i re, per i principi e  per tutti coloro che, attendendo al governo dei popoli, possono con la loro  tutela esterna recar aiuto alla Chiesa, affinché, riordinata rettamente la  società, "la pace, opera di giustizia" (Is. XXXII, 17), al soffio della  divina carità arrida al genere umano tormentato dai terrificanti flutti di  questa tempesta, e la Santa Madre Chiesa possa condurre vita quieta e tranquilla  nella pietà e nella castità (cfr. I Tim. II, 2). Dobbiamo chiedere con  insistenza a Dio che tutti coloro che sono al governo dei popoli amino la  sapienza (cfr. Sap. VI, 23) in modo che questa gravissima sentenza dello  Spirito Santo non ricada mai su di essi: "L’Altissimo esaminerà le vostre opere  e scruterà i pensieri; perché, ministri del suo regno, non avete governato  rettamente, né avete osservato la legge di giustizia, né secondo il volere di  Dio aver te camminato. Terribile e veloce piomberà su voi, ché rigorosissimo  giudizio sarà fatto di quei che stanno in alto. Al misero invero si usa  misericordia, ma i potenti saranno potentemente puniti! Non indietreggerà  dinanzi a persona il Signore di tutti, né avrà soggezione della grandezza di  nessuno; ché il grande e il piccolo Egli ha creato, ed ha cura ugualmente di  tutti. Ma ai potenti sovrasta più rigoroso giudizio; a voi pertanto o re, son  rivolte le mie parole perché impariate la sapienza e non cadiate" (Ibidem, VI,  4-10). 
 d) Compiendo ciò che manca nella passione di CristoInoltre, non solo faticando senza posa e pregando ininterrottamente Cristo  Signore palesò il Suo amore verso la Sua Sposa incontaminata, ma anche per mezzo  dei dolori e delle angosce sopportate volentieri e con amore per essa: "Avendo  egli amato i suoi... li amò sino alla fine" (Jo. XIII, 1). Anzi non  acquistò la Chiesa che per mezzo del proprio sangue (cfr. Act. XX,  28). Adunque, su queste orme cruente del nostro Re, come esige la nostra salvezza  da mettere al sicuro, intraprendiamo volonterosi il nostro cammino: "Poiché se  siamo stati innestati alla somiglianza della Sua morte, lo saremo ancile a  quella della Resurrezione" (Rom. VI, 5), e "se siamo insieme morti, con  lui anche vivremo" (II Tim. II, 11). Ciò è richiesto anche dalla vera ed  operosa carità sia verso la Chiesa, sia verso quelle anime che la medesima  Chiesa genera allo stesso Cristo. Sebbene infatti il Salvator nostro con le sue  durissime pene e la sua acerba morte abbia meritato alla sua Chiesa un tesoro  addirittura infinito di grazie, per disposizione però della provvidenza di Dio  esse solo partitamente ci vengono distribuite, e la loro minore o maggior  dovizia non poco dipende anche dalle nostre buone opere, dalle quali una tale  pioggia di celesti doni volontariamente largita da Dio, viene attirata sulle  anime umane. Tale pioggia di grazie celesti sarà certamente sovrabbondante, se  non solo faremo uso di fervorose preghiere a Dio, specialmente col prendere  parte anche ogni giorno, se si può e con pietà, al Sacrificio eucaristico; se  non solo faremo del nostro meglio per alleggerire la sofferenza di tanti  bisognosi con servizi di cristiana carità, ma se ameremo i beni imperituri a  preferenza di quelli caduchi di questa vita; se con volontarie mortificazioni  terremo a freno questo corpo mortale, negandogli ciò che è illecito e  imponendogli invece ciò che gli è sgradito e arduo; e se finalmente accetteremo  con sottomissione come dalla mano di Dio le fatiche e i travagli della presente  vita. In tal modo, secondo l’Apostolo "diamo compimento nella nostra carne, a  quello che rimane dei patimenti di Cristo, a pro del Corpo di Lui che è la  Chiesa" (cfr. Col. I, 24).
 Mentre così scriviamo Ci si svolge, purtroppo, dinanzi allo sguardo una  moltitudine sterminata di miseri, che con dolore compiangiamo: infermi, poveri,  mutilati, vedove e orfani, e moltissimi che per le proprie sventure o per quelle  dei loro cari giacciono talvolta in un vero languore mortale. Tutti coloro  dunque che per qualsiasi motivo giacciono nella tristezza e nell’angoscia con  cuore paterno vivamente esortiamo affinché, pieni di fiducia, levino gli occhi  al cielo, offrano le loro pene a quel Dio che un giorno renderà loro una copiosa  mercede. Ed abbian tutti presente che il loro dolore non è vano, ma è oltremodo  fecondo di bene per essi e per la Chiesa, se mirando a tal fine sapranno  sopportarlo con pazienza. A meglio conseguire tal proposito, giova moltissimo la  quotidiana e devota oblazione di se stesso a Dio, quale usano fare i membri di  quella associazione che prende il nome dell’Apostolato della preghiera:  associazione che in questa occasione, come a Dio gratissima, Ci sta a cuore di  raccomandare nel modo più vivo.
 Se ci fu mai un tempo in cui, per conseguire la salvezza delle anime,  dobbiamo unire i nostri dolori agli strazi del divin Redentore, oggi  specialmente, Venerabili Fratelli, tale è il dovere di tutti, mentre una guerra  immane avvolge nelle sue fiamme quasi tutto l’orbe terrestre, generando tante  morti, tante miserie, tante sventure. E particolarmente oggi è doveroso per  tutti l’astenersi dai vizi, dagli allettamenti del mondo, dagli sregolati  piaceri del senso, come pure da quelle cose terrene, futili e vane che non hanno  alcuna relazione né con la cristiana formazione dell’animo, né con il  conseguimento del cielo. Dobbiamo, piuttosto, ribadire nelle nostre menti la  gravissima sentenza del Nostro Predecessore Leone Magno, il quale afferma che  noi, col battesimo, siam fatti carne del Crocifisso (cfr. Serm. LXIII, 6;  LXVI, 3; Migne, P. L., LIV, 357 et 366) e quella bellissima preghiera di S.  Ambrogio: "Portami, o Cristo, sulla Croce, che è salvezza agli erranti, nella  quale soltanto è riposo agli affaticati, nella quale soltanto avranno la vita  coloro che muoiono" (In Psal. 118, XXII, 30: Migne, P. L., XV, 15,  1).
 Prima di por fine a questo scritto, non possiamo trattenerCi dal tornare ad  insistere nell’esortare vivamente tutti ad amare la santa Madre Chiesa con un  amore zelante e operoso. Per la sua incolumità, per il suo più fecondo ed  ubertoso incremento, dobbiamo ogni giorno offrire all’eterno Padre le nostre  preghiere, le fatiche, le angosce nostre, se davvero ci sta a cuore la salvezza  della universale famiglia umana, redenta col suo sangue divino. E mentre nubi  minacciose offuscano il cielo, e pericoli e minacce incombono in questo  consorzio umano e sulla stessa Chiesa, affidiamo le nostre persone e tutto ciò  che ci appartiene al Padre delle misericordie, supplicandolo: "Volgi, ti  preghiamo, o Signore, uno sguardo su questa Tua famiglia, per la quale il  Signore nostro Gesù Cristo non esitò a consegnarsi ai suoi carnefici ed a subire  il tormento della Croce" (Off. Major. Hebd.).
 
 EPILOGO  LA BEATA VERGINE MARIACompia, Venerabili Fratelli, questi Nostri paterni voti, che sono certamente  anche i vostri, e ottenga a tutti noi un verace amore per la Chiesa, la Vergine  Madre di Dio, la cui anima santissima fu ripiena del divino Spirito di Gesù  Cristo più che tutte le altre anime insieme: Ella che, "in rappresentanza di  tutta l’umana natura", diede il consenso affinché avesse luogo "una specie di  sposalizio spirituale tra il Figlio di Dio e l’umana natura" (S. Thom., III, q.  80, a. 1). Fu Lei che con parto ammirabile dette alla luce il fonte di ogni vita  celeste, Cristo Signore, fin dal suo seno verginale ornato della dignità di Capo  della Chiesa; fu Lei che poté porgerlo, appena nato, come Profeta, Re e  Sacerdote a coloro fra i giudei e fra i gentili che per primi accorsero ad  adorarlo. Inoltre il suo Unigenito, accondiscendendo alla sua materna preghiera,  in Cana di Galilea, operò quel mirabile prodigio per il quale i suoi discepoli  credettero in Lui (Jo. II, 11). Ella fu che, immune da ogni macchia, sia  personale sia ereditata, e sempre strettissimamente unita col Figlio suo, Lo  offerse all’eterno Padre sul Golgota, facendo olocausto di ogni diritto materno  e del suo materno amore, come novella Eva, per tutti i figli di Adamo  contaminati dalla sua miseranda prevaricazione. Per tal modo, Colei che quanto  al corpo era la madre del nostro Capo, poté divenire, quanto allo spirito, madre  di tutte le sue membra, con nuovo titolo di dolore e di gloria. Ella fu che, con  le sue efficacissime preghiere, impetrò che lo Spirito del divin Redentore, già  dato sulla Croce, venisse infuso nel giorno di Pentecoste con doni prodigiosi  alla Chiesa, da poco nata. Ella finalmente, sopportando con animo forte e  fiducioso i suoi immensi dolori, più che tutti i fedeli cristiani, da vera  Regina dei martiri, "compì ciò che manca dei patimenti di Cristo... a pro del  Corpo di lui, che è la Chiesa" (Col. I, 24). Ella, per il mistico Corpo  di Cristo nato dal Cuore squarciato del nostro Salvatore (cfr. Off. SS. mi  Cordis in hymno ad Vesp.), ebbe quella stessa materna sollecitudine e  premurosa carità con la quale nella culla ristorò e nutrì del suo latte il  Bambino Gesù. La stessa santissima Genitrice di tutte le membra di Cristo (cfr. Pio X:  Ad diem illum), al cui Cuore Immacolato abbiamo con fiducia consacrato  tutti gli uomini e che ora in cielo, regnando insieme col suo Figlio, risplende  nella gloria del corpo e dell’anima, si adoperi con insistenza ad ottenere da  Lui che, dall’eccelso Capo, scendano senza interruzione su tutte le membra del  mistico Corpo rivoli di abbondantissime grazie. Ella stessa, col suo sempre  presente patrocinio, come per il passato, così oggi, protegga la Chiesa, e ad  essa e a tutta la umana famiglia impetri finalmente da Dio un’era di maggiore  tranquillità.
 Noi, fidenti in questa superna speranza, auspice delle celesti grazie e quale  attestato della Nostra particolare benevolenza, a voi tutti e singoli,  Venerabili Fratelli, ed al gregge a ciascuno di voi affidato, impartiamo con  effusione di cuore l’Apostolica Benedizione.
 
 Dato in Roma, presso San Pietro, il giorno 29 del mese di  Giugno, nella festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, nell’anno 1943, V  del Nostro Pontificato. PIO PP. XII *Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, V,
 Quinto anno  di Pontificato, 2 marzo 1943 - 1° marzo 1944, pp. 267-324
 Tipografia Poliglotta Vaticana
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